Nella luccicante e splendida cornice del Teatro Galli di Rimini, nell’ambito della 76° edizione della Sagra Malatestiana, si è tenuto il Concerto Sì dolce è ‘l tormento – Canzoni d’amore recital del mezzosoprano Cecilia Bartoli. Artista che non ha bisogno di presentazioni, balzata alla ribalta dopo che grandi direttori d’orchestra del calibro di Herbert von Karajan e Daniel Barenboim ne intuirono il profondo talento e le innate capacità musicali. La sua carriera internazionale dura da oltre trent’anni scandita da passione oltre che per il canto, per la continua ricerca riportando alla luce compositori e partiture completamente dimenticati. Contagiosa nel febbrile entusiasmo che sprigiona in ogni sua apparizione, la poliedrica personalità dell’artista romana tutta si ritrova nei suoi Recital, occasione per apprezzarne la musicalità, il senso del teatro, il carisma unito a un caldo temperamento. E’ quello che è accaduto agli spettatori che hanno affollato la restaurata sala, nel prezioso Concerto riminese. La monteverdiana Toccata d’Orfeo, resa dal direttore Gianluca Capuano in rutilante efficacia di suono turgido e tondo, è teatrale introduzione in scena della cantante che, con il successivo prologo Io la musica sono, esemplifica quel che significhi per lei il canto. Lo esegue in maniera Si dolce il tormento, la voce si espande con struggente evocazione e languore, e avvolge chi la ascolta con innato senso della parola. Di verde smeraldo vestita non si limita a cantare, ma cattura e ammalia con gli sguardi, contando dopo oltre trent’anni di carriera su un invidiabile legato e un’omogeneità dei registri. Raccolti gli omaggi tributati eccola rientrare passo marziale, sguardo fiero e imperioso lanciandosi nell’aria A facile vittoria dall’opera “Tassilone” d’Agostino Steffani, primo saggio di acrobatica coloratura, raddoppiata in guerreggiar di bravura con la tromba che del pari si esibisce in virtuosismi tecnici. Cecilia Bartoli s’impegna allo spasimo, spingendo un poco sulla voce per superare il volume orchestrale, vorticosa nei rapidi vocalizzi: spettacolare il finale, a provarsi l’un l’altro i due solisti in imitazioni vocal-strumentali, esibendo tenute e riprese di fiati spettacolari. Placata la tempesta d’applausi lo stupore suscitato, Capuano sparge raffinatezza con l’ouverture dal Giulio Cesare di Händel, resa in gran brio e scioltezza. Nuovamente Händel riporta al centro la voce sirena con Lascia la spina da “Il Trionfo del tempo e del disinganno” (che diverrà il famosissimo “Lascia ch’io pianga”) intriso di partecipe malinconia, con una ripresa dell’aria quasi estenuata, sostenuta da un filo vocale che ingemma il brano di preziosa intensità emotiva. E il direttore rende lo strumentale quasi in riverbero, in eco. Un soffio, un prezioso ricamo. E’ la volta di virare verso Antonio Vivaldi: ouverture di Dorilla in Tempe, brillante e scintillante con Capuano sempre in grand’energia esecutiva. Il flautista annuncia già con le prime note Sol da te dal vivaldiano “Orlando furioso“esemplificando il canto in dolenti pene d’amore, a ripetersi la voce in preziosa gara con lo strumento a fiato. Un allegro dal concerto di Vivaldi RV155 precede l’ingresso dell’oboista richiesto dall’aria Non ti lusinghi la crudeltade dal “Tito Manlio”, impreziosita dalla Bartoli in lunga serie di vocalizzi su trame sonore oboistiche, in rastremo di voce, sapiente maestria nel porgerla e ancor più nel dosarla, giocandola come uno strumento. Ancora un allegro, stavolta dal Concerto RV128 conchiude la parentesi vivaldian-veneziana prima di tornar a un turbine orchestrale: frenetica l’orchestra de Les Musiciens du Prince-Monaco in rapinoso andamento, febbrile quasi e sempre energico impresso dal direttore. Mordente anticipazione del furente ingresso della cantante, foriero della tempesta che si scatenerà con Mi deride… desterò (Handel “Amadigi di Gaula”). Il turbinio vocale si alterna a quello dei due solisti, riprendendo le loro variazioni, a volte in eco, genialmente ironica in quelle espressioni del viso (che sole valgono), in felice stupore e sorpresa nell’ascoltare gli altri due virtuosi, ma sempre divertita in agire teatralmente in scena: bravura e divertimento. Si riprende la serata con il travolgente brio de l’ouverture mozartiana de Le Nozze di Figaro precede il clarinettista che con gran sagacia scandisce l’aria Parto, parto (Mozart “La Clemenza di Tito”), ma Cecilia Bartoli ancor più la vivifica, esprimendo negli accenti determinazione e morbidezza nel fraseggio, impreziositi da una sapiente tenuta dei fiati. Imperativa nelle frasi, si mostra in abiti alla “Sesto” per meglio render il personaggio. Esegue attacchi in pianissimo, esibendo gran velocità di esecuzione, virtuosistica la coloratura e incursione nel registro basso solidamente ambrata. Quasi spiritata si ritira tra le quinte…Giunto alfine il momento del “suo” nume tutelare: Gioachino Rossini. Introdotto dal luccicante brillio della Sinfonia di La Cenerentola, la cantante romana entra, al mutar delle luci del fondo scena, in elegantissimo abito bianco impreziosito da brillantini, Otello: Assisa a piè d’un salice. Mesti accenti, intrisi di lacerante e accorato rimpianto che infiamma e rende credibili per la magnetica presenza scenica, sublima lo strazio in canto nostalgico ed evocativo. La parte finale è toccante implorazione, sublimazione della preghiera. Esattamente interpretando la poetica musicale del Pesarese. E tuoni e lampi in orchestra ricreano la drammaticità del momento: non si rimpiange nessuna messinscena, altamente evocata come spaccato di azione teatrale. Il punto più alto della serata. Il Barbiere di Siviglia, prima con la Sinfonia ricca di sottigliezze raffinate, poi con Una voce poco fa ci riporta sulla terra, a partir da quell’abito (e ventaglio, e orecchini) nelle variazioni di tinta che sole si addicono a Rosina. E dal cilindro della sua esuberante fantasia, la Bartoli cava nuova astuzia e piquante malizia da un’aria ascoltata all’infinito, fresca furbizia giocando con i tempi e la dinamica del pezzo, con parche e saporose variazioni nella ripresa, con qualche sgranamento accusato in acuto. Un trionfo che termina quello che più che un Concerto è stato un vero e proprio one woman show, rappresentando nel panorama musicale internazionale una delle ultime vere punte di diamante. Non basta saper cantare, esasperando al parossismo il tecnicismo o la potenza vocale, bisogna innanzitutto essere un artista capace di trascinare e ipnotizzare lo spettatore. Con la solita ammaliante simpatia che la distingue, contrassegnata da una mimica facciale e gesti attoriali impagabili, la Bartoli ha iniziato la serie di bis, seguendo il fil rouge Sì dolce è ‘l tormento – Canzoni d’amore: “Cara ti voglio tanto bene”, celebre canzone di Musiani, interpretata con tenerezza assieme alla mandolinista. Près de rempart de Séville (Carmen) qual divertissement da intelligente belcantista, allusiva pur senza sensualità. Una gioia che tracima in ogni suo Recital, sprizzante spontaneità nel reiterare bis. Voi che sapete (Nozze di Figaro), trasformandosi visibilmente in Cherubino, l’ingenuità e fresca innocenza amorosa dipinte sul viso. “Non ti scordar di me” lanciata da Beniamino Gigli, qui in una resa più stilizzata. La gran conclusione (con le sole variazioni dell’aria eseguita in precedenza) A facile vittoria, in divertito “teatrino” col trombettista, suscitante ilarità, per trasformare il gioco in varianti jazzistiche e sfociare in Summertime di Gershwin. Inutile dire del clima entusiastico che ha coronato la serata, con acclamazioni per Cecilia Bartoli e il Maestro Capuano, nonché per i soliti e l’intera compagine de Les Musiciens du Prince-Monaco. 28 settembre, al Teatro Galli di Rimini.
gF. Previtali Rosti

