Il Museo delle Macchine da Scrivere di Bruno Pansera

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di Tommaso Chimenti

 

ROMA – Per chi fa il mestiere del giornalista, anche se ha sempre scritto su un portatile o un computer, la macchina da scrivere riveste un particolare sentimento nostalgico, tattile, materico. Quell’acciaio, quell’inchiostro, le sbavature e le correzioni, e la carta da srotolare e i classici rumori, i tasti e i modelli che ne hanno fatto la storia, come ad esempio la mitica Lettera 22. Ci sono suoni che non si dimenticano, che entrano sottopelle, che rimangono nelle orecchie e nel cuore. Ci sono fotografie iconiche che hanno fatto la Storia, con la esse maiuscola, che si sia giornalisti o meno: Indro Montanelli con la sua macchina sulle ginocchia, Dario Fo nel suo studio, Hemingway immerso nei suoi baffi intento a calcare i piccoli tasti. Due anni fa una serie di macchine, appartenute a Ray Bradbury, George Bernard Shaw, Truman Capote, Tennessee Williams e appunto all’autore de “Il vecchio e il mare” sono state battute all’asta per quasi 300.000 dollari. Sandro Veronesi una volta raccontò che il suo primo libro fu scritto, nello studio di casa di Vincenzo Cerami, sulla macchina da scrivere che fu di Pier Paolo Pasolini. Come se dentro quell’oggetto fosse rimasta l’ispirazione, la vena creativa, un’intelligenza. Tom Hanks è un grande collezionista del genere. Come non ricordare la scena della macchina da scrivere di Jerry Lewis, ironica, spassosa, travolgente, nella pellicola “Dove vai sono guai” dove il comico “suona” una macchina invisibile che però emette i classici rumori picchiettati in forma di musica. Ci si fotografava in posa con la macchina da scrivere in bella evidenza perché questo voleva dire competenza, professionalità, serietà, conoscenza. Esiste una carrellata di scatti con celebrità di ogni epoca che hanno voluto farsi ritrarre proprio accanto, dietro la scrivania, con questo oggetto feticcio, senza dover essere per forza scrittori. Con una rapida ricerca abbiamo trovato foto di Jacqueline Kennedy come di Arthur Miller, l’attrice Gloria Swanson e il Premio Nobel Faulkner, re del pop come Miguel Bosè e Anthony Perkins il protagonista di “Psycho” e Greta Garbo, perfino Ho Chi Minh. E queste macchine sono lucenti e raffinate, elegantissime nel loro essere stabili, piene, solide, autorevoli. La macchina da scrivere, a differenza di altri oggetti che hanno perso la loro funzione, penso alle videocassette, rimane un oggetto di culto, che non passa mai di moda, che fa arredamento, che non ha perso il proprio stile né fascino nel tempo, che non è stato rottamato né ha ceduto la propria allure. E chi non si ricorda la scena della ripetizione ossessiva “Il mattino ha l’oro in bocca” che Jack Nicholson in “Shining” continua a scrivere sul suo foglio bianco?

A Roma esiste il “Museo delle Macchine da Scrivere” (aperto dal martedì al giovedì dalle 10 alle 17, in via Nomentana 299b) a cura di Bruno Pansera che ha collezionato oltre trecento modelli: “Le macchine da scrivere hanno svolto un ruolo fondamentale a cavallo del diciannovesimo e ventesimo secolo nella trasformazione del mondo del lavoro e dell’emancipazione delle donne, che grazie alla macchina da scrivere hanno potuto accedere per la prima volta in massa al lavoro d’ufficio liberandosi dal vincolo del lavoro domestico”. Pezzi rari della collezione sono la Sholes&Glidden del 1873, la Taurus del 1908, molti modelli della Olivetti M1, la Crandall, la Gerda ideata per consentire ai mutilati ed invalidi di guerra di poter scrivere a casa. Abbiamo fatto alcune domande al Dottor Pansera sulla sua passione.

Qual è il suo primo ricordo collegato ad una macchina da scrivere?

“Mi viene in mente il ricordo della scuola media dove ci insegnavano dattilografia, ricordo emozionante in quanto collegato al mio paese di nascita”.

Che cosa le fa venire in mente o le ricorda il suo ticchettio?

Credo di non sbagliare a dire che il ticchettio di una macchina per scrivere mi fa venire un po’ di nostalgia. Nostalgia di tempi meno caotici, in cui scrivere a macchina scandiva anche il tempo delle giornate lavorative, o di momenti per scrivere lettere a familiari o amici lontani. Ecco, oggi che il mondo si basa sulla comunicazione immediata e globalizzata, pensare alla macchina per scrivere come strumento di comunicazione mi fa pensare all’importanza storica di questi bellissimi oggetti che colleziono e mi riempie di orgoglio”.

Qual è la prima macchina da scrivere che ha toccato e sulla quale ha lavorato?

“Olivetti ICO”

Perché questa (insolita) passione di collezionarle?

“Il collezionismo è una passione difficile da spiegare: è un mix di curiosità per l’insolito, interesse per un determinato ambito storico, volontà di preservare il passato per le generazioni future. Nel caso specifico delle macchine per scrivere mi viene da dire che non è una passione “insolita”. Ci sono molto collezionisti in tutto il mondo che hanno la mia stessa passione: partendo da chi ha nostalgia di questi oggetti meccanici rispetto ai moderni computer o touch-screen, a chi proprio vedendo la tastiera QWERTY che ancora oggi usiamo sulle moderne tastiere rimane affascinato nello scoprire che si tratta della stessa identica tastiera utilizzata nel 1873 sulla prima macchina per scrivere”.

Che modelli interessanti e particolari avete in esposizione?

“Modestamente, sono molti i modelli interessanti da un punto di vista storico e di rarità che sono esposti al Museo, ma sicuramente il più importante è la Sholes&Glidden del 1873, la prima “vera” macchina per scrivere. Questa macchina americana, riccamente decorata con motivi floreali ed equipaggiata con un tavolino simile a quelli delle macchine da cucire (con tanto di pedale per il ritorno del carrello a fine riga!) fu infatti la prima ad essere ufficialmente chiamata TYPEWRITER (macchina per scrivere). Il suo inventore Christopher Latham Sholes, è per questo considerato il “padre” delle macchine per scrivere, nonostante prima di lui ci furono diversi inventori che produssero prototipi di macchine per la scrittura meccanica, tra cui anche inventori italiani.

A proposito di invenzioni italiane, tra i modelli più particolari c’è una macchina del 1908 prodotta a Milano: la Taurus Type. Questa macchina ha la forma di un orologio e venne pubblicizzata proprio con lo slogan “una macchina da scrivere nel taschino del gilet”.

Quanto può costare un modello di macchina da scrivere di quelli più ricercati?

“Il valore delle macchine da scrivere antiche è un concetto relativo: non esistono cataloghi con prezzi predefiniti come in altri ambiti collezionistici, quindi oltre a parametri standard come rarità, età e significato storico, il costo può variare moltissimo in base a caratteristiche specifiche di determinati modelli. Comunque, si può sicuramente dire che per pezzi particolarmente ricercati si può arrivare all’asta a cifre a quattro zeri”.

Qual è il pezzo per il quale farebbe, da collezionista, follie per averlo?

“Sicuramente la Malling Hansen del 1867! Questa macchina, nota anche come “emisfera scrivente”, oltre a essere un vero gioiello di tecnologia del XIX secolo, fu prodotta in una piccola serie di circa 250 esemplari e tra noi collezionisti è forse il pezzo più ambito in assoluto poiché fu in effetti il primo vero precursore delle macchine per scrivere”.

Qual è, secondo Lei, la differenza sostanziale tra lo scrivere con la macchina e la forma odierna dello scrivere su un computer?

“La differenza più ovvia è la semplicità di scrittura su un moderno computer. Sulle macchine per scrivere meccaniche bisognava fisicamente premere un tasto per dare la giusta forza al carattere che doveva imprimere la lettera sul foglio. Nei primissimi modelli, lo sforzo per le dita era tale che addirittura i produttori consigliavano di utilizzare solo gli indici per non stancare troppo le mani e si pensava che scrivere a macchina non fosse adatto alle donne, il che si rivelò ben presto un paradosso perché fu proprio la macchina da scrivere a dare una forte spinta all’emancipazione delle donne sul lavoro nella seconda metà del XIX secolo”.

Qual è il modello che possiede al quale è rimasto più affezionato e perché?

“Ho già menzionato due delle mie macchine preferite, la Sholes&Glidden e la Taurus, ma sicuramente una macchina a cui tengo particolarmente è anche la Crandall del 1887: questa macchina è considerata la più bella macchina da scrivere mai prodotta, con stupende decorazioni floreali e addirittura eleganti inserti in madreperla. E non è solo l’estetica a rendere questa macchina un vero pezzo da museo: infatti la Crandall fu la prima macchina da scrivere ad utilizzare, al posto dei martelletti, un più moderno cilindro portacaratteri, per capirsi un concetto molto simile alla testina rotante di macchine moderne come le IBM”.

Un mondo che sembrava destinato ad essere soppiantato e a scomparire che ancora, però, resiste, continuando a regalarci stralci di nostalgia, poesia in bianco e nero.

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