Di Stefano Duranti Poccetti
La recente nomina di Beatrice Venezi come direttrice musicale del Teatro La Fenice di Venezia ha acceso un dibattito tanto acceso quanto controverso. Tra le critiche emerse, una delle più curiose riguarda l’accusa – diretta o implicita – che il mondo della musica classica sarebbe “improvvisamente” diventato di sinistra, e che per questo si opporrebbe alla direttrice vicina ad ambienti culturali più conservatori. Ma è davvero così?
Storicamente, chi si occupa di musica colta non è mai stato percepito come parte di un fronte “sinistroide”. Al contrario, l’ambiente della musica classica è spesso stato visto come elitario, tradizionalista, persino aristocratico, e dunque più vicino a sensibilità conservatrici che non a istanze di sinistra. Basti pensare alla Prima della Scala, simbolo per eccellenza di un’alta borghesia culturale e politica, regolarmente contestata da decenni da movimenti studenteschi, centri sociali e attivisti, come accaduto anche nel 2024 con addirittura attivisti pro-Palestina fuori dal teatro milanese.
Nel 2023 invece mentre all’esterno del teatro si susseguivano diverse manifestazioni, la piazza è diventata teatro di voci e istanze eterogenee. Attivisti pro-Palestina hanno esposto una bandiera a sostegno della causa, mentre altri gruppi – tra cui la CUB (Confederazione Unitaria di Base), rappresentanti della comunità ucraina e lavoratori dello spettacolo – hanno preso parte alla protesta portando avanti le proprie rivendicazioni.
All’interno della sala, invece, durante l’esecuzione dell’Inno di Mameli, un grido spontaneo di “Viva l’Italia antifascista” si è levato tra il pubblico, sottolineando il clima politico e culturale che ha fatto da sfondo all’intera serata.
In questa prospettiva, appare quanto meno bizzarro che ora, chi si oppone alla nomina della Venezi, venga etichettato come “di sinistra” per partito preso. La verità potrebbe essere meno ideologica e più concreta: i dubbi sollevati da parte del mondo musicale, in particolare da alcuni orchestrali e addetti ai lavori, riguardano questioni di metodo e merito. La nomina è infatti avvenuta senza un vero confronto con l’orchestra e senza un processo partecipato, generando perplessità legittime su come sia stata presa una decisione tanto importante per il futuro artistico della Fenice.
Invece di ridurre il caso a una guerra culturale tra destra e sinistra, forse sarebbe più utile analizzare i criteri di selezione adottati e il peso effettivo del merito artistico nella scelta. Beatrice Venezi è una figura mediatica, nota al grande pubblico, e ha senza dubbio un profilo interessante, ma è lecito chiedersi se questo basti a giustificare una nomina così rilevante in uno dei teatri lirici più prestigiosi d’Europa, soprattutto in assenza di un confronto interno.
In definitiva, il vero nodo non è politico, ma istituzionale e culturale: serve maggiore trasparenza nei processi decisionali e una riflessione seria su come si coniugano oggi competenza artistica, comunicazione e governance nei grandi enti culturali italiani e questo fatto potrebbe veramente rivelarsi cruciale per riscrivere in modo più limpido e preciso il regolamento di nomine tanto importanti.

