Una delle pagine più buie della storia italiana, una macchia per il mondo della politica, un dramma che è rimesto impresso nella memoria collettiva come una cicatrice per il paese. Il caso Moro, la triste vicenda del rapimento da parte delle Brigate Rosse dello statista italiano, culminato poi col delitto, rappresentata sotto forma di coreografia il 12 ottobre, apre la stagione di danza del Teatro Bellini. Tante sono state le creazioni ispirate al tragico fatto di cronaca che ha segnato quell’epoca di fine anni ‘70, i terribili “anni di piombo” in cui l’intera nazione viveva nella morsa del terrorismo; sono stati prodotti film per il cinema e per la TV, miniserie, rappresentazioni teatrali e opere letterarie, finché Luciano Padovani ne ha fatto una coreografia. Attingendo alla sua memoria personale, (studente universitario all’epoca) e sconvolto come tanti della sua generazione dall’evento, ha sentito il bisogno di raccontarlo a suo modo, con la sua arte. Il titolo “Stella” è evocativo di un simbolo, quello delle Brigate Rosse, la stella a 5 punte che rappresentava una sorta di marchio apposto sotto ogni comunicato e che incuteva terrore solo a vederlo. In scena due giovani danzatori, Roberta Piazza e Andrea Rizzo, interpretano i carcerieri di Aldo Moro, e lo stesso Padovani, coreografo e regista, interpreta il Presidente della DC, vittima sacrificale dell’estremismo ideologico. Il sipario si apre su una stanza, presumibilmente il covo delle BR in cui si muovono le tre figure: i due brigatisti e l’ostaggio, seduto su uno sgabello con le spalle al pubblico, in penombra per tutto il tempo. Tradurre in danza una storia del genere non è semplice, sia per il contenuto drammatico dei fatti, che per la forma, affidata esclusivamente alla capacità espressiva dei danzatori e alla loro abilità soprattutto di evocare sensazioni e sentimenti. Roberta Piazza e Andrea Rizzo hanno una straordinaria abilità nel mettere fuori un caleidoscopio di emozioni che vanno dalla gioia al dolore, dalla spiensieratezza all’angoscia, dall’allegria alla disperazione. Il primo passo a due vede i ragazzi intenti a scherzare e a godersi un amore giovanile. Man mano che la coreografia va avanti, la situazione si fa sempre più seria e drammatica; particolarmente intenso è il momento in cui lui legge l’ultimo comunicato delle BR, quello con cui con cui condannano a morte Moro, lei cerca di impedirglielo provando a strappargli il foglio di mano, ma lui la respinge con violenza accecato dal fanatismo. Il lavoro di Padovani è sorprendentemente efficace. La sua vena artistica gli ha permesso di ideare una soluzione scenica semplice ma di grande impatto emotivo; i danzatori/brigatisti sono molto convincenti nell’esprime l’atteggiamento conflittuale, violento ma fino ad un certo punto, lasciando trasparire, in maniera velata, che in fondo anche loro erano vittime del sistema. Parlando al pubblico alla fine dello spettacolo, il regista ha rivelato che per scrivere “Stella” si è avvalso della consulenza di un ex brigatista. Attraverso i suoi racconti è riuscito a scavare nell’anima dei protagonisti dei tanti gesti efferati che hanno caratterizzato quel periodo storico, capire le motivazioni e la complessità del loro fanatismo . Con movimenti interrotti e poi ripresi, in una costante alternanza di lentezza e rapidità, hanno saputo suggerire in modo poetico il turbamento interiore che assale persino i carnefici, rendendo estremamente intensa la loro interpretazione. I pochi gesti di Padovani/Moro, appassionati e struggenti, commuovono il pubblico in quanto densi di significato, come ad esempio quando si avvicina ai suoi carcerieri che dormono e li accarezza, congiungendoli in un abbraccio, quasi a renderli più umani spingendoli a fare prevalere l’amore. Il coreografo è riuscito nel suo intento di restituire al nostro tempo la narrazione di un’epoca resa tragica dagli estremismi e trasmetterlo alle nuove generazioni. Storia magistra vitae.
Serena Cirillo

