Travolgente passione di “Francesca da Rimini”

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Per inaugurare la Stagione d’Opera e di Balletto 2025/26 il Teatro Regio di Torino ha puntato su Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, opera che ha dato fama immortale al compositore fin dalla sua prima apparizione, proprio a Torino, nel 1914. Una parte del successo arriso al melodramma è dovuta alla popolarità della vicenda, una sorta di Tristano e Isotta italiano. Il racconto dei due amanti divenne cosi famoso in poco tempo che, vivente Giovanni Malatesta, lo “sciancato”, Dante aveva già scritto il bellissimo V canto dell’Inferno. Il poeta tratta i due amanti in maniera più tenera e solidale rispetto agli altri peccatori del girone infero, ed è curioso notare come in Dante non si trovi traccia della leggenda del matrimonio per procura di Paolo il bello. Il libretto, grondante dannunzianesimo (e non poteva essere altrimenti) è stato adattato da Tito Ricordi dall’omonimo dramma del divino Gabriele. La vicenda è una trama perfetta per un’opera lirica e Zandonai inscena il dramma dannunziano in maniera molto convincente: non solo le parole sono sbalzate con realtà musicale impressionante, ma tutto il trattamento orchestrale è di alto livello. L’impiego di rari strumenti in orchestra conferisce inoltre un sapore medievale alla partitura, facendola virare dalla spiccata tinta verista. Non si contano i leitmotiv, ulteriore caratterizzazione dei personaggi. D’Annunzio scrisse Francesca da Rimini per la leggendaria attrice Eleonora Duse: il passo è breve verso il melodramma di Zandonai, che mutuando la stessa pregnante relazione tra parola e musica, richiede un’interprete che sia al tempo stesso attrice navigata e provetta cantante. Non a caso il personaggio di Francesca è stato appannaggio di soprani dalla spiccata personalità; in tempi recenti, oltre alla grande Magda Olivero interprete insuperata del ruolo (a Torino nel 1940, Teatro della moda e nel 1959 alla Scala, in cui giganteggiava accanto a Del Monaco), Leyla Gençer, Renata Scotto, la Kabaivanska (al Regio nel 1974) e Daniela Dessì. In questa nuova edizione torinese la protagonista è Barno Ismatullaeva, giovane soprano uzbeko di voce calda ed estesa che si getta ardimentosa sulle impervie frasi acute, sfoggia ottimo legato e omogeneità nei registri. Già matura nella sapienza e scandaglio del fraseggio, sempre sentito e incisivo, risolve il personaggio a tutto tondo non limitandosi a far prevalere la chiave vocale. L’agire scenico è caratterizzato da gesti di già consumata e pregnante attrice, intenso, che fa vibrare il personaggio nel cotè di sensualità ma anche qual’amorosa sorella e amica. Impagabili smorzature di voce rendono struggente l’evocazione della pena e della sofferenza che ineluttabilmente andrà a subire. A esaltare la prestazione resa dalla protagonista, su cui grava la maggior parte dell’opera, una sfolgorante cornice orchestrale intessuta con partecipazione – rifinitissima nei più minuti particolari – suscitata dall’altro grande protagonista dello spettacolo, il Maestro Andrea Battistoni, Direttore musicale del Teatro Regio. L’affinità mostrata da Battistoni per questa partitura in particolare, si traduce in una trascinante direzione che porta al calor bianco il magma incandescente della tavolozza sinfonica di Zandonai, sviscerandone la sontuosa ricchezza, ma ancor più esaltandone, con sapienti dinamiche, le infinite sfumature e i rapinosi sfinimenti di languore. Paolo il Bello aveva l’inconfondibile calore del tenore Roberto Alagna, (al Regio dopo vent’anni d’assenza), in una parte che gli calza a pennello in cui può sfruttare gli ammalianti colori timbrici, alla resa d’appassionato amante, passionale e piagato nel profondo. Efficace Gianciotto di George Gagnidze, vocalmente truce al punto giusto e mai sovraccaricato, anche se la voce tende purtroppo ad andare “indietro”. Accanto a loro una compagnia di canto omogenea formata da artisti affermati e giovani talenti: molto bene fa l’altro tenore, Matteo Mezzaro, che si fa apprezzare per la sicurezza del registro acuto, offrendo un Malatestino ben caratterizzato nel suo sadismo nonché di sicura presenza scenica. Valentina Boi era una Samaritana dalla voce piena e sicura, accanto a quella brunita di Smaragdi di Silvia Beltrami. Del quartetto delle compagne di Francesca si è fatta notare Valentina Mastrangelo, fresca e lirica Biancofiore; efficaci Albina Tonkikh (Garsenda), Martina Myskohlid (Altichiara) e Sofia Koberidze (Donella). Assolvono bene il loro compito, l’Ostasio di Devid Cecconi e Janusz Nosek, un sicuro Giullare mentre di caratura un po’ scarsa era Ser Toldo di Enzo Peroni. Completavano il cast Daniel Umbelino (Il balestriere) e Eduardo Martínez (Il torrigiano). Sempre di rilievo la prestazione del Coro del Regio, istruito dal maestro Ulisse Trabacchin. Francesca da Rimini torna sul palcoscenico del Regio in un nuovo allestimento affidato ad Andrea Bernard che innesta, in una coinvolgente regia, drammatiche pose e gestualità di un vocabolario scarno quanto intenso ed essenziale di sensibilità poetica  (esaltazione di fare il vero teatro)  in perfetta simbiosi e mescolanza al fluire musicale. Scenografia originale di Alberto Beltrame di pochi ma pregnanti simboli, evocanti un’atmosfera di sogno e struggenti ricordi, alternati a quelli macchinosi (ma sempre rispettosi della musica) di guerra, o di drammatici scontri verbali. Elena Beccaro firma gli eleganti costumi che nel III atto finiscono per esser i soli a comporre la scena; Marta Negrini responsabile di una modesta coreografia e Marco Alba per le coinvolgenti luci. Accoglienza molto festosa da parte di un pubblico numerosissimo che affollava la sala, con ovazioni per Barno Ismatullaeva e Andrea Battistoni. Al Teatro Regio di Torino.

gF. Previtali Rosti

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