“Il Ciro” di Alessandro Scarlatti

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Fedele al compito e alla grandezza della tradizione che da quasi un secolo marchia la sua storia, il Maggio Musicale Fiorentino è una delle poche istituzioni del nostro paese che si sia ricordato di celebrare il trecentesimo anniversario della morte del grande compositore palermitano Alessandro Scarlatti, avvenuta il 24 ottobre 1725. Ritenuto uno dei più importanti esponenti della scuola musicale napoletana, Scarlatti fu indubbiamente il maggior compositore operistico che l’Italia abbia espresso tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, tanto da essere soprannominato “l’Orfeo italico”. Prolifico compositore di melodrammi e oratori, di musica sacra, vanta un considerevole numero di cantate (se ne contano oltre settecento) per tacere della musica strumentale, operando prevalentemente a Napoli e a Roma. Nella città dei papi, giunto giovanissimo dodicenne, si formò musicalmente forgiando il suo stile nel campo della musica sacra e del melodramma più profano, componendo una significativa parte della sua produzione musicale. Va ricordato come a Roma in quel periodo, a differenza della più liberale Venezia, l’opera fosse messa in scena in sale private che appartenevano alla ricca nobiltà e non se sporadicamente in teatri pubblici, soggetti al vigile occhio dell’autorità papale, preoccupata per motivi d’ordine morale, di concedere la licenza. A fronte di tale vastità di produzione vocale (sacra, profana e operistica), quello che più facilmente si conosce ed è rimasto in repertorio nei secoli che si sono succeduti, sono le sue composizioni musicali. Sporadiche le riprese delle sue opere nel secolo scorso (si ricorda Il Mitridate Eupatore alla Piccola Scala, e a Londra, in forma di concerto, con Joan Sutherland, Griselda con la Freni), mentre il generale recupero del repertorio barocco ha favorito qualche timida apparizione nel nostro tempo. Si saluta con grande piacere la possibilità che il Teatro del Maggio Fiorentino presenti, in coproduzione con la Fondazione Academia Montis Regalis, Il Ciro opera di Scarlatti non mai rappresentata in tempi moderni, edizione critica a cura di Nicola Badolato. Tratta dal dramma del Cardinale Pietro Ottoboni, il melodramma serio vide la sua prima esecuzione nel 1712, nel Teatro del Palazzo della Cancelleria a Roma. Il merito della buona riuscita delle rappresentazioni va ascritto in larga parte alla Direttrice Chiara Cattani, alla guida dell’Orchestra Barocca dell’Academia Montis Regalis. Dotata di contagiosa energia trasmessa ai membri dell’Orchestra, la Direttrice ha impresso, con un gesto articolato e deciso, un preciso carattere alla partitura resa in tutta la sua travolgente bellezza e sapienza di scrittura. Imprime già dalle prime battute orchestrali un andamento dal piglio risoluto e scattante, un energico slancio ma altresì in risalto i momenti languidi e struggente patetismo. L’inconfondibile colore del tessuto scarlattiano e la variegata tavolozza orchestrale emergono dalla compagine dell’Orchestra, docile nel seguire i dettami e piegarsi al trascinante entusiasmo della Direttrice nel ricreare tinte e dinamiche sapientemente esibite. La sua è stata una direzione sempre pregnante, scintillante quanto briosa, capace di rendere gli elaborati fasti scarlattiani; una visione sapientemente evocativa nell’evocare il clima che si doveva respirare nel Teatro del Palazzo della Cancelleria di Roma, quando Il Ciro di Scarlatti vide la luce per la prima volta. Brava concertatrice conosce le esigenze dei cantanti e li asseconda con gran dedizione. Non tutto omogeneo il cast di cantanti. Astiage Margherita Maria Sala la migliore in campo, rende palpabile con il suo canto l’estetica barocca dando subito esempio di proprietà espressiva nel recitativo accompagnato O gelosia di regno: imperiosa e vibrante, rende anche scenicamente lo spirito del personaggio. Anche l’aria Quel che piace è resa con una vocalizzazione (pur senza essere rapinosa) di sensuale leggerezza. In Quel foco che vi accende, resa con incisiva proprietà, sempre più dimostra il valore del suo canto. Intensa in numi dell’arsa Dite, che le permette di mostrare il carattere. Struggente ne Tormentoso augello. Arpago era Giuseppe Valentino Buzza. In Vedrai con qual aspetto e l’aria frema pur mostra un timbro tenorile ambiguo, di non affascinante colore, dagli acuti opachi e la coloratura è poco fluida e sgranata, posticcio nel furore. In Quell’onda s’impegna a vocalizzare e sfumare, ma il timbro non lo aiuta. Mitridate, il veterano Christian Senn, in Lascia che un sol momento mostra una maggior frequentazione teatrale scenica e vocale e nell’aria Dell’aquila altera riesce più convincente. Erenia, il soprano Anita Giovanna Rosati Di donna ho il core è credibile interprete e l’aria Già lo so fa risuonare l’ottava alta della voce, con acuti penetranti e sonori. Partecipe ne Il timor che il sen m’ingombra duetto con il padre, che chiude il I tempo. Bene rende l’aria di paragone Feroce leone. Ciro inizialmente nei panni di Elcino il controtenore sopranista Dennis Orellana, di voce discreta, profonde grande impegno nel suo ruolo ma senza possedere spiccata personalità scenica e vocale. Mostra musicalità nell’aria con coro Biondo nume mentre in Non ha pregio è sufficientemente amoroso. In No, una lagrima emette acuti spinti. Arsace era Rémy Brès Feuillet controtenore di timbro contraltile, meno interessante e particolareggiato dell’omologo. In Qual nocchiero la voce suona più corposa e timbrata, ma scarso nella vocalizzazione. In Prischi eroi cava più energia e impeto, in discreta coloratura su tempi vorticosi staccati dalla Direttrice. Infine Sandane interpretata da Mathilde Legrand esegue Bello ma superbetto in gran semplicità di colori e naiveté d‘interprete, voce modesta mostra sfibrature in acuto. Al dolor dell’alma mia non più che corretta e in Ch’io ritorni gli acuti sono forzati. Nuovo l’allestimento, una coproduzione con la Fondazione Academia Montis Regalis per questa prima esecuzione de Il Ciro in tempi moderni. La regia di Maria Paola Viano semplicistica e scontata, ricorre a gesti in gran parte stereotipati, a silhouette e ombre cinesi senza arrivare a definire il carattere della vicenda. L’impianto fisso di “frangette” lascia intravedere fondali ispirati da Filippo Juvarra, opera di Darko Petrovic; i costumi, alterni nel loro trovarobato poco fantasioso se non per quello di Astiage, mescolano modernità e riferimenti attuali che mal si sposano col canto barocco, sono di Giovanna Fiorentini e le luci sono curate da Nevio Cavina.  I fondali dello spettacolo sono realizzati da Piet Hoevenaars. Accoglienza festosa per la compagnia di canto, intensa per la Direttrice Chiara Cattani. Al Teatro Goldoni di Firenze, nell’ambito del Maggio Musicale Fiorentino Stagione 2025.

gF. Previtali Rosti

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