26 maggio, 2014

VIAGGIO ATTRAVERSO L'IMPOSSIBILE - sogni di cinema, a cura di Francesco Vignaroli. Recensione 18: "RADIAZIONI BX DISTRUZIONE UOMO"


RADIAZIONI BX DISTRUZIONE UOMO            USA  1957  77’  B/N
(The incredible shrinking man)

REGIA: JACK ARNOLD

INTERPRETI: GRANT WILLIAMS, RANDY STUART, APRIL KENT, PAUL LANGTON

EDIZIONE DVD: SI’, distribuito da A & R PRODUCTIONS


“HO DECISO DI PERDERMI NEL MONDO” (dalla canzone “ALTROVE” di Morgan)

“LA MIA PRIGIONE, PER QUANTO SCRUTASSI LONTANO, NON ERA CHE MACCHIA GRIGIA NELLO SPAZIO E NEL TEMPO” (dalla versione italiana del film)

In vacanza al mare con la moglie, Scott Carey rimane esposto ad una misteriosa nebbia radioattiva; sei mesi dopo comincia progressivamente a perdere peso e a rimpicciolire, senza che la scienza sia in grado di aiutarlo, nonostante esami ed accertamenti di ogni genere. La sua vita diventa un inferno: perde il lavoro finendo per indebitarsi, i rapporti con la moglie Louise diventano sempre più difficili, stampa e opinione pubblica smaniano per vedere “l’incredibile uomo restringibile”, come se fosse un “freak” da circo. La situazione peggiora al punto tale che Scott, ormai microscopico, è costretto a vivere in una grottesca casa delle bambole, almeno finché, per sfuggire al gatto di casa –divenuto per lui una minaccia-, finisce in cantina. Nel suo nuovo mondo, come un novello Robinson Crusoe miniaturizzato Scott è costretto a sopravvivere con gli scarsi mezzi a sua disposizione e a disputare la supremazia sul territorio con un ragno. Dopo un epico e vittorioso duello col mostro, l’uomo decide di lasciare il proprio regno e uscire nel giardino di casa (che per lui è diventato una giungla) per andare incontro all’Infinito.




Capolavoro dimenticato del periodo d’oro della fantascienza classica, ma non solo: il film, a fronte di una prima parte descrittiva, svela nella seconda, decisamente più avventurosa, una  dolorosa quanto affascinante dimensione esistenziale suggellata dal meraviglioso e inatteso finale mistico, sospeso tra filosofia e teologia. Gran parte del merito va alla sceneggiatura dello scrittore Richard Matheson, che rielabora il suo secondo romanzo, ma anche alle scelte registiche di Arnold, che costruisce il film puntando su un angoscioso disagio esistenziale -espresso efficacemente con l’espediente dell’io narrante- e sulla suspense garantita da un uso intelligente degli effetti speciali (peraltro ottimi, nonostante un budget limitato). Il risultato è una storia inquietante e misteriosa, ricca di suggestioni e spunti di riflessione che fanno del film un esemplare memorabile e pressoché unico all’interno del genere fantascientifico, paragonabile forse, quanto ad angoscia e profondità, soltanto al quasi contemporaneo capolavoro “L’INVASIONE DEGLI ULTRACORPI” (1956) di Don Siegel, tratto dall’omonimo romanzo di Jack Finney.
E dire che il film comincia con la più paradisiaca delle situazioni possibili: un uomo e una donna, marito e moglie, stesi sopra una barca in mezzo all’oceano ad abbronzarsi beatamente al sole; ma l’illusione di trovarci in presenza di una situazione “normale” dura appena un paio di minuti: giusto il tempo che occorre alla nube pestilenziale per raggiungere lo sfortunato Scott, lasciandogli sulla pelle una strana polverina luccicante; come spesso accade in questo genere di film (e come accadrà in seguito, ad esempio, nella zombi-saga di George A. Romero), il nemico/minaccia rimane indefinito e perciò diviene ancora più inquietante, data l’atavica paura (mista all’attrazione) umana dell’ignoto: l’origine della nebbia letale non verrà mai chiarita. Gli alieni? L’inquinamento radioattivo causato dall’uomo? Oppure una punizione divina? Ogni ipotesi interpretativa, per chi fosse interessato, rimane aperta anche se, personalmente, propendo per la spiegazione “umana”: trovo niente affatto casuale che, al termine dei vari accertamenti cui Scott viene sottoposto al Centro Sperimentale di Medicina, uno scienziato ipotizzi che ad innescare il misterioso processo degenerativo portato dalla nube, fungendo da detonatore, sia stata una seconda esposizione, non meno fatale della prima: quella ad un insetticida…Volendo invece pescare dall’immaginario cinematografico, la nube che avanza silente e minacciosa verso l’ignaro bagnante può ricordare quella della biblica piaga d’Egitto che va a colpire nel sonno gli schiavisti egiziani, messa in scena dal regista Cecil B. DeMille nei “DIECI COMANDAMENTI” appena un anno prima (ancora il 1956, quindi). In ogni caso, tornando a “RADIAZIONI BX”, la scienza brancola nel buio (ha scoperto il “COME” ma non il “PERCHE’ ”) ed è costretta ad assistere impotente all’inarrestabile metamorfosi di Scott, un uomo che insieme alla propria dimensione corporea sta perdendo anche quella sociale e umana, finendo preda di inediti e tormentosi dubbi esistenziali: “COSA ERO IO? ANCORA UN ESSERE UMANO? O FORSE ERO L’UOMO DEL FUTURO?” Una notte, già ridotto ad un metro scarso di statura, Scott decide di uscire in strada di nascosto (di giorno gli sarebbe impossibile, vista la morbosa curiosità della gente), imbattendosi in un circo che ha come attrazione principale il classico campionario di fenomeni da baraccone –la donna barbuta, il gigante…-, quegli “scherzi della natura” così colpevolmente privati della loro dignità ed esposti al pubblico ludibrio dai “normali”, come mostrato da capolavori assoluti come il classico ma modernissimo (oggi diremmo che “ERA AVANTI”) “FREAKS” (1932) di Tod Browning o, per riavvicinarci ai tempi nostri, il toccante “THE ELEPHANT MAN” (1980) di David Lynch. Tra le attrazioni umane del circo c’è anche Clarice, una graziosa donna affetta da nanismo che Scott, consapevole di non poter più restare con una moglie ormai fuori dalla sua portata “fisica”, inizia a frequentare, cullando forse l’idea di rifarsi una vita con lei; tra i due sembra funzionare, ma la favola è destinata a durare poco: la malattia progredisce e durante un incontro mattutino al parco, quando Scott si accorge di essere diventato più basso anche di Clarice, fugge via disperato. Questo è l’episodio-chiave che chiude idealmente la prima parte del film: Scott si rende conto che per lui non c’è più posto nel mondo degli umani e che la sua condizione lo porterà inevitabilmente verso l’emarginazione e la solitudine. La rocambolesca e fortuita discesa in cantina in seguito all’aggressione del gatto segna l’inizio della nuova vita di un uomo rimasto completamente solo (il fratello e la moglie lo credono morto), che si ritrova a dover ricominciare da capo in un ambiente ostile e sconosciuto; l’istinto di sopravvivenza è l’unica forza a muovere ancora Scott, che ben presto però capisce di lottare non solo per la vita, ma anche per conservare la propria identità. La presenza di insidie di ogni tipo (una trappola per topi da disinnescare per poter mangiare il formaggio che vi è sopra; “montagne” insormontabili da scalare e insidiosi “abissi” da evitare; l’allagamento della cantina; l’orrido ragno nero) e la solitudine forzata inducono “l’uomo decresciuto” (così si autodefinisce ad un certo punto) ad una serrata autoanalisi introspettiva -come sottolinea l’intensificarsi della presenza dei monologhi interiori- che lo porterà ad un radicale ripensamento di sé e della propria esistenza fino a raggiungere nello splendido finale, dopo aver sconfitto il ragno, l’illuminazione: Scott ha finalmente penetrato il mistero più profondo dell’Universo, la sua essenza, cioè l’analogia tra microcosmo e macrocosmo, tra infinitesimale e infinitamente grande (espressa chiaramente da una bellissima inquadratura in cui il prato visto dall’alto sfuma in dissolvenza lasciando il posto alle stelle del cosmo), nel quadro di un unicum in cui tutto –compreso lui- ha un significato e non c’è posto per il nulla. Consapevole che il suo processo di miniaturizzazione lo condurrà verso l’infinitamente piccolo, Scott decide di accettare il proprio destino abbandonandosi all’abbraccio onnicomprensivo del Tutto (il monologo finale è talmente bello che ho deciso di riportarlo quasi integralmente): “ SONO COSI’ VICINI, L’INFINITESIMALE E L’INFINITO…MA A UN TRATTO CAPII CHE ERANO DUE TERMINI DI UN MEDESIMO CONCETTO: LO SPAZIO PIU’ PICCOLO E LO SPAZIO PIU’ VASTO, NELLA MIA MENTE ERANO I PUNTI DI UNIONE DI UN GIGANTESCO CERCHIO. […] E IN QUEL MOMENTO TROVAI LA SOLUZIONE DELL’ENIGMA DELL’INFINITO: AVEVO SEMPRE PENSATO NEI LIMITI DELLA MENTE UMANA, AVEVO RAGIONATO SULLA NATURA; L’ESISTENZA HA PRINCIPIO E FINE NEL PENSIERO UMANO, NON NELLA NATURA…SCIOGLIERSI, DIVENTARE IL NULLA… LE MIE PAURE SVANIVANO E VENIVA A SOSTITUIRLE…L’ACCETTAZIONE. LA VASTA MAESTA’ DEL CREATO DOVEVA AVERE UN SIGNIFICATO, UN SIGNIFICATO CHE IO DOVEVO DARLE: SI’! PIU’ PICCOLO DEL PIU’ PICCOLO, AVEVO UN SIGNIFICATO ANCH’IO! GIUNTI A DIO NON VI E’ IL NULLA: IO ESISTO ANCORA!


Francesco Vignaroli

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