05 luglio, 2014

VIAGGIO ATTRAVERSO L'IMPOSSIBILE - sogni di cinema, a cura di Francesco Vignaroli. Recensione 23: "LADRI DI SAPONETTE"


LADRI DI SAPONETTE                      ITALIA  1989  85’  B/N E COLORE

REGIA: MAURIZIO NICHETTI

INTERPRETI: MAURIZIO NICHETTI, CATERINA SYLOS LABINI, FEDERICO RIZZO, RENATO SCARPA, LELLA COSTA, CARLINA TORTA, CLAUDIO G. FAVA

VERSIONE DVD: SI’, edizione MUSTANG ENTERTAINMENT



Nell’ambito di una rassegna cinematografica d’autore curata dal critico Claudio G. Fava (sé stesso), un’emittente televisiva commerciale trasmette il film Ladri di saponette –una rilettura/omaggio di Ladri di biciclette, film cardine del neorealismo italiano- alla presenza dell’autore, il regista Maurizio Nichetti (sé stesso), preoccupato di controllare che la sua opera non venga maltrattata dalla TV. Ma la storia, invece, è continuamente interrotta da spot pubblicitari piazzati nel bel mezzo delle scene, e la loro presenza è talmente invadente da condizionare progressivamente la trama del film fino a che, complice un blackout elettrico, la modella Heidi, protagonista di una pubblicità, si ritrova catapultata all’interno di Ladri di saponette, innescando una serie di paradossi che stravolgeranno completamente la narrazione originaria. A questo punto, lo stesso Nichetti si vede costretto a entrare nel film per tentare di riportare nei giusti binari la “toccante” vicenda che vede protagonista l’operaio Antonio Piermattei (ancora Nichetti, senza baffi), ma bisogna sbrigarsi: i telespettatori stanno per spegnere la televisione e andare a dormire…








Con intelligenza, ironia e leggerezza Maurizio Nichetti solleva una questione molto interessante e tuttora aperta: che rapporto c’è tra cinema e televisione? La TV, che in fondo si nutre anche di esso, rispetta il cinema oppure lo mortifica alterandone spazi e tempi? Domande tutt’altro che banali o superate, se si pensa che –ironia della sorte- l’ultimo passaggio televisivo di Ladri di saponette è avvenuto proprio su Mediaset, cioè la TV tortura-film per antonomasia: un vero calvario, tra interruzioni pubblicitarie piazzate “a tradimento” anche nel bel mezzo di una scena e che a volte durano complessivamente almeno quanto un quarto del film -provate a vederne uno di 120’ in “orario di punta”, se non ci credete!-, per non parlare poi dei tagli e della soppressione –a volte totale- dei titoli di coda… Dopotutto, il film risale alla fine degli anni ’80, cioè il decennio dominato dal consumismo più sfrenato, le cui gioie e meraviglie la TV privata (detta anche “commerciale”: nomen omen…) ha tanto efficacemente declamato, specialmente attraverso i “consigli per gli acquisti” (secondo la celebre definizione di Maurizio Costanzo), divenuti progressivamente una presenza costante, se non preponderante, all’interno del piccolo schermo. Da qui si comprende l’urgenza polemica, anche se garbata, di un film come Ladri di saponette, che lancia un profetico quanto –ahimé- inascoltato grido d’allarme circa il progressivo imbarbarimento della televisione, di cui anche il cinema ha inevitabilmente risentito. Magari i “maltrattamenti artistici” perpetrati dall’emittente privata verso Ladri di saponette fossero pura fantasia del regista! Purtroppo, come tutti possono facilmente sperimentare quotidianamente, le fastidiose pause pubblicitarie che rovinano il pathos dei film –specie se si tratta di storie drammatiche come il “film nel film” Ladri di saponette, almeno nelle intenzioni del finto (vero?) Nichetti, che vorrebbe rendere omaggio a Ladri di biciclette con una storia ancora più amara e pessimista, dove tutto finisce “male”- esistono ancora oggi (anzi,credo che sia peggio di allora!), e risultano a dir poco frustranti per chiunque accenda il televisore con la speranza di potersi gustare lo spettacolo in santa pace. Vi garantisco che la mia recente esperienza della visione di questo film su Canale 5 è stata a dir poco surreale, con le vere interruzioni pubblicitarie della rete alternate a quelle finte di Ladri di saponette (senz’altro più moleste le prime rispetto alle seconde…), tanto da non poter quasi più distinguere la realtà dalla finzione… In questo modo sembrava che, anziché essere il film una parodia critica della TV, fosse Canale 5 a farsi beffe di Ladri di saponette infliggendogli una sorta di crudele contrappasso dantesco, e provocando un inestricabile “cortocircuito percettivo” (la finzione che diventa più vera del vero, il reale che si uniforma alla finzione…) davvero straniante!
Se a Mediaset la situazione non è rosea, non si può certo dire che le cose vadano molto meglio da “Mamma Rai” che, come a suo tempo vaticinato dal “Pippone” Baudo Nazionale, si è adeguata alle strategie della televisione commerciale aumentando progressivamente gli spazi pubblicitari all’interno dei programmi, film compresi. Fanno eccezione “riserve indiane” come Fuori Orario di Rai 3 –ma bisogna trasformarsi in vampiri, visto l’orario del programma!-, Rai Movie (sempre in fascia oraria “bassa”, però) o i canali tematici a pagamento, altrimenti riuscire a vedere decentemente un film alla televisione è ormai praticamente impossibile! Considerando tutto ciò, quindi, all’interrogativo iniziale sul rapporto tra cinema e TV che Nichetti ci propone con spiritosa acutezza, credo non sia possibile che dare una sola risposta: a queste condizioni, la televisione danneggia il cinema! Vita dura per i cinefili, quindi, che spesso scelgono di rinunciare. Gli unici a potersene infischiare, al limite, sono i telespettatori (o teledipendenti?) che tengono accesa la “scatoletta magica” giusto per farsi compagnia (per avere un “sottofondo”), come accade nel film agli svagati membri della famigliola-tipo i quali, immersi in altre occupazioni, credono di guardare Ladri di saponette, mentre in realtà sono così disattenti (semplicemente fenomenale il piccolo Francesco che, davanti alla TV, pian piano ricostruisce la cattedrale moscovita di San Basilio con i mattoncini Lego!) da non accorgersi neppure che la storia è impazzita…

Tornando al film, ritengo Ladri di saponette l’opera migliore di Nichetti –titolo ex aequo con il successivo Volere volare (1991)- e un episodio originale e atipico nel panorama cinematografico italiano; si ride meno che in altri suoi lavori –l’unica scena che richiama apertamente la tipica comicità mimica del primo Nichetti è il disastroso arrivo del regista agli studi televisivi-, a vantaggio di un certo sperimentalismo che, nel complesso, risulta divertente e riuscito. Pur non essendo una novità assoluta l’idea del film nel film e della contaminazione tra realtà e finzione (per restare nell’ambito della mia rubrica, cito La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen, recensione che potete recuperare, insieme alle altre già pubblicate, cliccando sull’icona a forma di ciak in alto a sinistra nella Home Page del sito), l’apparentemente sgangherato intreccio mescola con efficacia tre piani narrativi differenti –cinema, pubblicità e “realtà”- che producono un mix dagli effetti imprevedibili e sempre più caotici, dove ogni logica va a farsi benedire (la storia deraglia che è un piacere!). Un momento: ma non è esattamente ciò che ci accade quando tentiamo di vedere un film alla TV? E’ forse impresa facile non smarrire il filo della narrazione in un film interrotto quattro o cinque volte da pause che, se comprensive di notiziari e previsioni del tempo, possono durare anche fino a un quarto d’ora??!!
Ladri di saponette è, al di là dell’intento parodistico che il titolo potrebbe far supporre, un sentito e affettuoso omaggio (come dichiarato dallo stesso Nichetti) al capolavoro neorealista Ladri di biciclette e a Vittorio De Sica, volontà testimoniata anche dalle musiche composte da Manuel De Sica (figlio di Vittorio), che ricordano le partiture di un altro immortale capolavoro del regista, Umberto D, il film che, a mio giudizio, rappresenta l’apice del neorealismo italiano.
Credibilissimo e puntiglioso il bianco e nero anni ’40 approntato per il dramma Ladri di saponette, che stride con i colori sgargianti e un po’ sbavati, tipicamente anni ’80, delle pubblicità.
Molto spiritoso e autoironico il contributo del critico cinematografico Claudio G. Fava –scomparso recentemente-, che si ritrova con un certo imbarazzo a parlare dello “sconosciuto” Nichetti in mezzo a mostri sacri come Ernst Lubitsch e Jean Pierre Melville; nella parte di Don Italo ritroviamo invece il bravo Renato Scarpa, indimenticabile compagno/vittima di Carlo Verdone nell’improbabile viaggio a Cracovia di Un sacco bello, episodio che rappresenta la personalissima rilettura verdoniana de Il sorpasso di Dino Risi.


Francesco Vignaroli

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