21 marzo, 2016

"Medea", una donna del passato, una donna di oggi. Di Flavia Severin


Teatro Ghione, Roma. Dal 15 al 24 marzo 2016

Il mito greco di Medea è stato rivisitato da diversi autori moderni e, per questa rappresentazione teatrale in scena dal 15 al 24 marzo 2016 al Teatro Ghione di Roma, il regista Francesco Branchetti utilizza il testo dello scrittore francese Jean Anouilh. L’opera è simile per molti aspetti della trama alla versione di Euripide, ma ha soprattutto un suo tratto distintivo, tipico dei “Testi Neri” di questo autore, e cioè un’analisi attenta e minuziosa delle passioni prorompenti e oscure dell’animo umano, nonché un’introspezione e un’indagine psicologica dei personaggi.

La struttura drammaturgica è solenne, possente e viene creata con il dramma della protagonista reietta in un carrozzone insieme alla Nutrice, colpevole di aver commesso sordidi crimini e scelleratezze per il suo amato Giasone. Costui invece, l’ha abbandonata dopo dieci anni insieme, deciso a sposare Creusa, figlia di Creonte, re di Corinto, per poi prendere il suo posto di sovrano.
Medea è lacerata dal dolore, consapevole delle sue rinunce fatte in funzione di lui, dell’aver tradito la sua famiglia, il padre e di aver assassinato il fratello, sacrificando e immolando sempre la sua vita per lui, ora si ritrova sola ed emarginata, trattata come una barbara selvaggia. E oltre alla fedele Nutrice, non gli restano che i suoi figli, frutto di quell’amore che le ha portato via tutto, che le ha corroso l’animo dal profondo e che userà come vendetta, in un ultimo gesto disperato di omicidio-suicidio.  [“Sono Medea, finalmente e per sempre.”]

I personaggi sono costruiti con una potenza tragica eccezionale, vestendo la disgrazia e indossando emozioni intense e doloranti, e la messinscena è tutta avvolta intorno al tormento e alla sofferenza di una donna ferita, una donna di un mito passato, ma che è assolutamente attuale ed universale,  una donna che ha amato troppo e che anche per questo è stata abbandonata. Anche la scenografia ricrea il suo mondo, così come i suoi movimenti sul palco, a volte leggeri come un rito sacro, a volte incalzanti, ma sempre pieni di dignità, che accompagnano i suoi sentimenti struggenti.

Un’altra differenza importante con la versione euripidea è il personaggio di Giasone che non è totalmente ignobile, non sminuisce infatti del tutto la donna amata, ma anzi nel dialogo con lei ripercorre la loro storia, il crescere del suo sentimento per la donna, dandole quasi un’ultima speranza illusoria di un futuro immaginato insieme, la passione sfrenata, e infine il peso di questo amore che si è trasformato in un fardello d’odio e veleno, che lo ha stremato a tal punto da fargli desiderare solo l’oblio. E questo diventa poi la sua giustificazione per l’imminente matrimonio con la giovane vergine, futura regina di Corinto.

Medea, interpretata da una incisiva e commovente Barbara De Rossi, vive un amore pieno di eccessi e senza limiti in questa tragedia così eterna e così contemporanea che vede fondersi emozioni estreme, forze oscure, esoteriche, paure, ferocia, dipinte sapientemente dal regista Francesco Branchetti, nel ruolo di Giasone stesso.

Flavia Severin
                                                                                                                              

Testo: Jean Anouilh
Traduzione: Giulio Cesare Castello
Regia: Francesco Branchetti
Con: Barbara De Rossi (Medea), Tatiana Winteler (la nutrice),  Francesco Branchetti (Giasone), Lorenzo Costa (Creonte), Fabio Fiori (ragazzo, guardia)
Musiche: Pino Cangialosi
Scene e costumi: Clara Surro

Distribuzione: Pigrecodelta

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