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“Fernand Cortez, ou La conquête du Mexique”. Storia di un sanguinario condottiero reso eroe dalla storia

Data:

Al Teatro del Maggio Fiorentino, Opera di Firenze. Dal 12 al 23 ottobre 2019

Al Teatro del Maggio abbiamo assistito a una tragédie lyrique – rappresentata per la prima volta all’Opéra di Parigi nel 1809 – che non è semplice da trovare sui cartelloni delle stagioni. Il “Fernand Cortez, ou La conquête du Mexique” di Gaspare Spontini ci racconta le gesta del conquistatore spagnolo, che arrivato in America sconfigge il sovrano Montezuma, dando vita a una pacifica alleanza con gli indigeni. Accanto a questa vicenda è affiancata quella dell’amore nato tra Cortez e Amazily, messicana in accordo con gli spagnoli e che addirittura sul finire si proporrà di morire sacrificata in cambio dei soldati che sono stati imprigionati. La donna sarà salvata in tempo dall’incursione degli uomini di Cortez, per un finale idilliaco dove la religione cristiana – Amazily porta sempre con sé il crocifisso che le ha donato l’amato – distrugge gli dei del male e dove la colonizzazione viene vista in quanto evento totalmente positivo. Naturalmente all’inizio dell’Ottocento doveva essere proprio questo il messaggio che passava, che per l’Occidente fosse in qualche modo lecito invadere nuovi luoghi nel nome del potere e della religione. Tutto questo viene incorniciato da una dimensione che oggi chiameremmo di “politicamente corretto”, evitando quindi di parlare di spargimenti di sangue, facendo passare un’occupazione feroce per un approdo pacifico, per una conquista che dovrebbe apparire addirittura salvifica. L’opera sembrerebbe di per sé dichiarare questo, se non fosse per le scritte che possiamo leggere sul fondale, che riecheggiano le memorie di Moralez, il quale ammette che le cose non furono probabilmente così serene come lo spettatore le ha viste e udite.

Detto questo, si può ben dire che l’architettura registica di Cecilia Ligorio è pienamente riuscita. I ritmi scenici funzionano e anche le coreografie, delle quali non tarderò a parlare, le quali s’innestano bene nell’insieme. Veramente suggestive le scene di Massimo Checchetto e Alessia Colosso, con una cortina semitrasparente che ci lascia intravedere la moltitudine dell’esercito, delle navi, dei cannoni: il tutto connotato da una cromia buia e scura (contribuisce il disegno luci di Maria Domenech), come a voler identificare nei militari e nelle scene un qualcosa di losco e belligerante. Questa oscurità e rigidità entra in contrasto con la fluidità e i colori vivaci delle messicane – i costumi sono di Vera Pierantoni Giua -, per uno spettacolo che dall’inizio alla fine presenta questa contrapposizione, tra lo strutturalismo della cultura occidentale e la libertà degli usi indigeni, fatto che si ripercuote nelle danze contemporanee (a cura della Compagnia Nuovo Balletto di Toscana, per la coreografia di Alessio Maria Romano), dove i movimenti fluidi delle danzatrici entrano in discordanza con il ballo marziale dei soldati – peraltro scoppiettante e sorprendente -, che questi eseguono con maschere di cavallo argentate, accompagnati da solenni statue equine. Dal punto di vista tecnico, direi che si è assistito a uno squilibrio dal punto di vista coreografico: molto curata la danza degli uomini, mentre forse ci saremmo aspettati di più dal corpo di ballo femminile, soprattutto nella prima sessione di danza, dove le note ripetitive di Spontini (ricordiamo che nella tragédie lyrique la parte coreografica è fondamentale) attendevamo qualche passo di bravura sorprendente, magari anche solistico, che purtroppo non è arrivato. A parte questa prima sessione in ogni caso il resto è parso fluido e pienamente amalgamato con l’insieme.

Buona la prova dei cantanti, anche se ci eravamo immaginati un Cortez (Dario Schmunck) con maggiore spessore e vigore vocale, mentre il tenore è parso un po’ troppo lirico per questo ruolo, seppur l’abbia interpretato bene dal punto di vista scenico e istrionico. Indubbiamente ottima invece la performance di Alexia Voulgaridou, che è riuscita a donare consistenza a Amazily, che potremmo eleggere, tra l’altro, tra le prime eroine donne della storia del melodramma. La soprano si comporta in modo eccellente nei movimenti scenici. La sua voce è liquida e si distende, trovando sempre la giusta vocalità e la giusta passione, rendendo palese che sente particolarmente questo ruolo. Buona anche la performance del baritono Gianluca Margheri, che tra l’altro tende al canto da tragédie lyrique, che sta tra il cantato e il declamato. Il suo ruolo è quello di Moralez, il fedele amico di Cortez, il quale scrive le memorie che passeranno alla storia – e persino sullo schermo del fondale, per la lettura degli astanti. Interessante a mio avviso l’esibizione di Luca Lombardo nei panni di Télasco, il fratello di Amazily, inizialmente fortemente in lite con Cortez. Il suo è un timbro non ben definito, alla ricerca dell’equa misura da utilizzare in questo genere operistico squisitamente francese. La sua voce esce lieve, nasale, acuta, pungente e fragile, proprio come il suo personaggio, costretto ad accettare una invasione dolorosa. Nel finale c’è inoltre spazio per André Courville nel ruolo di Montezuma. Il cantante interpreta il grande sacerdote con gestualità solenni e un timbro caldo, profondo e ieratico, pienamente adatto al suo personaggio.

Un passo che certamente ha colpito è il terzetto dei tre prigionieri spagnoli, che cantano per chiedere forza e coraggio al Signore per affrontare degnamente una morte eroica. In questo caso l’orchestra quasi si ferma, le voci s’intrecciano in preghiera, divenendo una sorta di madrigale che esprime un’alta spiritualità. Plauso ai cantanti per essersi resi magistralmente protagonisti di questo miracolo musicale.

Ottima la prova del Maestro Jean-Luc Tingaud alla guida dell’Orchestra del Maggio, che esegue con freschezza una partitura delle volte ripetitiva – per rendere possibili i ballabili -, ma che a volte si scioglie per divenire lirica, mentre scoppia nelle scene belliche, assecondando il fragore dei cannoni.

Eccellente l’esibizione del coro guidato da Lorenzo Fratini, che come al solito risulta equilibrato, all’unisono, dando senso di solidità e compattezza.

Prima dell’inizio dello spettacolo Paolo Klun è salito sul palco per ricordare la morte di Rolando Panerai avvenuta questi giorni e che ha unito il Maggio, dove il Maestro ha lavorato per molti anni, in doloroso cordoglio.

Stefano Duranti Poccetti

Artisti
Maestro concertatore e direttore
Jean-Luc Tingaud
Regia
Cecilia Ligorio
Scene
Massimo Checchetto e Alessia Colosso
Costumi
Vera Pierantoni Giua
Luci
Maria Domenech
Coreografia
Alessio Maria Romano
Fernando Cortez
Dario Schmunck
Télasco
Luca Lombardo
Amazily
Alexia Voulgaridou
Alvar
David Ferri Durà
Moralez
Gianluca Margheri
Il sommo sacerdote messicano
André Courville
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Compagnia Nuovo Balletto di Toscana
Durata
Prima parte: 1 ora e 20 minuti – Intervallo: 30 minuti – Seconda parte: 50 minuti – Intervallo: 30 minuti – Terza parte: 1 ora – Durata complessiva: 4 ore e 10 minuti circa

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