Lisette Oropesa, commovente Lucia di Lammermoor

Data:

Al Teatro alla Scala fino al 5 maggio 2023

Si ricorda un episodio curioso, avvenuto tra Puccini e il drammaturgo ungherese Ferenc Molnár. Quando il compositore, già celebre per aver composto Tosca e Butterfly, chiese di musicare Liliom, l’autore rifiutò perché disse che sarebbe stata associata per il futuro all’opera che Puccini ne avrebbe ricavato e non più allo scrittore. E’ quello che avvenuto alla famosissima Lucia di Lammermoor, composta da Donizetti sul romanzo The Bride of Lammermoor di Sir Walter Scott, di cui oggi si ricorda a mala pena il resto della produzione letteraria. Il librettista Salvatore Cammarano ha la sua parte di merito, nell’aver steso un libretto che sintetizza il racconto dispersivo di Scott, impostato su molteplici personaggi e una ricchezza di colore locale, trasformando un materiale molto variegato alle esigenze del melodramma. Si dice che Donizetti stesso, abbia scritto l’ultimo atto. Per un racconto del pieno romanticismo, si deve riconoscere che la scena della pazzia scritta da Scott è sorprendentemente realistica: messa letteralmente in musica, così com’è scritta, ricorda le atmosfere descritte da Strauss nell’Elektra. Donizetti ci risparmia i particolari sanguinosi, preferendo operare delle alterazioni alla storia (nella realtà, il marito di Lucia non muore per mano di lei e l’amato va in esilio), che conferiscono al libretto un ritmo più serrato e mantengono una tensione che trova compimento nella splendida scena finale. Il Teatro alla Scala ha rimesso Lucia di Lammermoor in cartellone dopo otto anni, in una nuova produzione (che avrebbe dovuto inaugurare la stagione 2020/21) firmata per regia, scene e costumi da Yannis Kokkos. Ne è risultato uno spettacolo non tutto dello stesso spessore ma di prevedibile staticità; il regista rallenta l’azione soffermandosi a creare quadri d’insieme, più che a realizzare una vera e propria regia di movimenti scontata. Costumi di sapore vago moderno, asettici e ininfluenti. Momento di magica sospensione è stata la scena della follia con l’ingresso, a ritroso, della sventurata eroina: scena che ha incorniciato con studiato fascino la professionalità della protagonista. Lucia quella di Lisette Oropesa che mostra dall’iniziale Ancor non giunge purezza di attacchi di un duttile strumento vocale capace di suscitare, per la caratteristica del timbro dolente, una riverberazione interiore. Struggenti colori di voce, già premonitori della tragedia che andrà consumandosi, trasbordano in un palpitante ed estatico Regnava nel silenzio. Qui il soprano cubano-americano smorza e fila, sicura in un raffinato legato, non impensierita da alcun passaggio vocale (pur con qualche artefazione nei rari momenti in cui la voce tocca note gravi). Quando rapito in estasi conclusione rapinosa ed estatica, con agili “roulade”e precisa nelle parche variazioni della ripresa. Nel duetto Verranno a te sull’aure gli attacchi sono flautati, con accenti venati di malinconia (Edgardo offre meno colori e fantasia di fraseggio) giungendo a fondere poi le voci nell’estatica ripresa, in belcantistica gara con il tenore. Soffria nel pianto con giustezza di ploranti accenti, strazianti, sostenuti in preziose arcate sonore; e ancora in Tu che vedi il pianto mio da lezione interpretativa che culmina col tragico La mia condanna ho scritto, di lacerante intensità. L’apice lo raggiunge nella scena della pazzia, in travolgente lezione di canto e azione teatrale: Ardon gli incensi, con il suono della glassharmonica, è attaccato con un filo di voce e Spargi d’amaro pianto è un agile susseguirsi di colorature e ”roulade”, in perfetto legato, senza però un eclatante trillo. Il suo è un virtuosismo non pirotecnico ma sempre esibito in funzione drammaturgica ed espressiva, a connaturare il personaggio. Juan Diego Flórez, Edgardo, fa valere la sua professionalità e maestria tecnica: il volume di voce si è purtroppo ulteriormente ridotto, lo squillo latita, e anche l’interprete resta trattenuto. Accento mai banale, ma scarsi i colori, risultandone un Edgardo stilizzato ma poco passionale e non generoso in calorose espansioni amorose, evocano pallidamente l’eroe romantico travolto da passione e gelosie. Impeccabile l’entrata in Chi mi frena in tal momento, ma esangue e distaccato in furore mentre l’Oropesa riprende su ben altro tono, svettando nel celeberrimo sestetto. Convincente nell’Ah ti disperda ma senza raggiungere l’effetto drammatico. Nel Terzo atto la voce stenta a espandersi, pur nella corretta linea di canto, scaldandosi nel Fra poco a me ricovero, dove mostra accenti più appassionati. Enrico era Boris Pinkhasovich, che si ammirato per la generosa partecipazione: Cruda funesta smania mostra buona linea di canto, pur aprendo i suoni in alto e nella cabaletta La pietade in suo favore mostra generico furore, pur capace di resa interpretativa, anche se il fraseggio è privo di alterigia e nobiltà. In il Pallor, funesto calca troppo sulla dizione a simular stupore e nel Se tradirmi è impetuoso ma un po’ troppo “vilain” senza giungere agli accenti da cattivo nobile; tenta di essere insinuante, ma spinge più che cantare. Raimondo di Carlo Lepore apprezzabile nell’ottava bassa, lo è meno negli acuti ingolati; rappresenta degnamente l’autorità religiosa e in Ah, cedi cedi pur non avendo l’ampleur di suono, trova convincenti accenti. Leonardo Cortellazzi era l’esile Arturo. Valentina Pluzhnikova, voce di consistente volume ma non particolarmente piegata, era una modesta Alisa. Mediocre Normanno Giorgio Misseri, dai suoni aperti e spinti. Il Maestro Riccardo Chailly marca bene il passo teatrale dell’opera donizettiana, creando un clima romantico e sbalzando la cupezza della tragedia, in linea con la messinscena. Drammatico nel sottolineare gli stati della protagonista, esalta i colori della partitura raggiungendo l’acme nell’introduzione all’aria della pazzia. Piglio mordente di alcune scene e senso di sicurezza impresse nel complesso, con accompagnamenti serrati e intensi come l’introduzione a Tombe degli avi miei, scena tetra e vibrante. Buona prestazione del Coro scaligero, diretto da Alberto Malazzi. Festeggiatissima la compagnia di canto, con delirio d’applausi per la protagonista e per il Direttore d’orchestra. Recita del 20 aprile.

gF. Previtali Rosti

ph Brescia e Amisano

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