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Andrea Chénier conquista la Scala

Data:

Al Teatro alla Scala di Milano, recita del 24 maggio 2023

Il melodramma più conosciuto di Umberto Giordano, opera in quattro atti, vide la luce al Teatro alla Scala il 28 marzo del 1896. Titolo popolarissimo un tempo, ha riguadagnato i favori, ritrovandolo sempre più spesso nei cartelloni operistici. Il libretto di Luigi Illica mostra un quadro della vita in Francia poco prima dello scoppiare della Rivoluzione francese e durante il turbolento periodo. Il librettista usa, nella trama della storia, dei personaggi realmente esistiti, come il poeta e patriota André de Chénier. Tre delle arie che il protagonista canta, si basano su poemi scritti dal vero Chénier: Un dì all’azzurro spazio (atto I), Credo a una possanza arcana (atto II) e Come un bel dì di maggio (atto IV). Quest’ultimo è la letterale trasposizione di Comme un dernier rayon, che una tradizione popolare vuole sia stato scritto nella notte precedente la sua morte; non è sicuramente vero, ma lo è che fu creato durante la prigionia a Saint-Lazare. La produzione di Andrea Chénier è quella dell’inaugurazione del Sant’Ambrogio 2017, affidata a Mario Martone (ripresa da Federica Stefani) e a Margherita Palli. Regista e scenografa propongono uno spettacolo che è un lineare e vibrante affresco storico attraverso intensi tableaux vivants. Il ricorso a un impianto rotante serve bene l’intenzione di fare di Andrea Chénier un unicum, in cui il concatenamento delle forme musicali e il fluire continuo della parola non trovino interruzioni o cesure. Il Teatro alla Scala ha puntato su un doppio cast di professionisti per assicurarsi la riuscita di questa ripresa, premiata dal sold out in tutte le rappresentazioni. Per due recite soltanto è tornato sul palcoscenico milanese il tenore tedesco Jonas Kaufmann, Andrea Chénier d’accattivante figura scenica, ma altrettanto della sua performance. Se il timbro di tenore lirico, pur perdendo smalto, ha conservato in parte il fascino che l’ha reso celebre, si deve costatare come il volume e lo spessore si siano ridotti, faticando la voce a espandersi. Impacciato scenicamente e teso, mostra al suo ingresso un fraseggio poco armonico: Colpito qui m’avete non “colpisce” e la famosa aria Un di all’azzurro spazio, é troppo compitata, mancando d’intrinseca forza e romantica intensità, là dove il personaggio mostra il sublime idealismo del poeta che, scandalizzando gli astanti, infiamma il cuore di Maddalena. Kaufmann si prodiga in sfumature, tenta finezze e provoca qualche palpito, ma la voce mostra oscillazioni e difficoltà nel registro acuto, gli attacchi hanno suono fisso, e le mezze voci non sono sostenute. L’esperienza teatrale lo salva con un fraseggio abbastanza convincente e dalla giusta enfasi; professionalità che tramuta in comunicativa la capacità di fare colpo sul pubblico. Nel duetto con Maddalena attacca Ora soave con un suono sbiancato e la voce non è ben sostenuta; ne scapita l’intensità del fraseggio, mai completamente espressivo e commovente. Segue Si fui soldato dallo scavo più incisivo e con frasi di maggior ampiezza e ampollosità declamatoria, che giunge al parossismo, nel ma lasciami l’onor, velato di stanchezza. I momenti migliori si odono nel quarto quadro, nella prigione. In Come un bel dì di maggio, attaccato in pianissimo, ritrova un buon legato a rendere il senso di struggente partecipazione, pur forzando un poco, dando al suo canto, con acuti sonori ma calanti sul sì. Nel duetto Vicino a te s’acqueta le voci di tenore e soprano si fondono, infiammati dalla passione, anche se il soprano “copre” per volume il tenore. Sonya Yoncheva era Maddalena di Coigny, dal timbro pieno e ben proiettato, dai centri non particolarmente rotondi ripiegando su un insistito uso di suoni poitrinè. S’impegna in finezze interpretative nell’Eravate possente; passionale nel duetto con Chénier. In La mamma morta, mostra un credibile fraseggio e giusta enfasi, ma manca il travolgente affondo di commozione. Con Benedico il destino! giunge all’apoteosi, nel duetto finale. Amartuvshin Enkhbat è un Carlo Gérard dal timbro affascinante ma non indenne da artifici vocali. In T’odio casa adorata è irruento e sanguigno, mostra personalità un po’ troppo vilain; canta costantemente sul mezzo forte – con accenti a volte plateali – risultando efficace soprattutto nei momenti di tensione e concitazione. In Lacrime e sangue è efficace tribuno e l’oratoria è sincera, credibile negli accenti di Gerard è vile ma in Nemico della patria – perorato solo in superficie ed espresso con pochi colori – apre i suoni e la dizione non è certo nobile. Si sforza di essere passionale con Maddalena, duetto condito da una chiusa belluina. Francesca Di Sauro è Bersi, un po’ affettata nel canto ma di vitale presenza scenica. Mediocre Contessa di Coigny Josè Maria Lo Monaco, voce afona e intubata, esagitata nei momenti di concitazione. Molto buona Madelon della veterana Elena Zilio, efficace nel rendere lo strazio di una vera cittadina. Il Roucher di Ruben Amoretti ha buon timbro e spigliatezza scenica, Modesto Fouquier-Tinville di Adolfo Corrado. Fléville è Sung-Hwan Damien Park, dal voluminoso quanto educato mezzo vocale. Tronfio e oscillante il Mathieu di Giulio Mastrototaro dal pessimo canto, mentre raffinatissimo Carlo Bosi, Un Incredibile sottile e mellifluo, voce leggera e penetrante che corre ovunque, variato nel fraseggio, un comprimario di vecchia scuola. Accettabili gli altri. Di gusto le danze. Direzione fiammeggiante di Marco Armiliato, nei colori di sgargiante tavolozza timbrica nell’avvolgente suono orchestrale e turgide sfumature. Con una scintillante e variegata interpretazione e con un ritmo sempre sostenuto e incalzante della partitura di Giordano, ha messo in giusto valore un melodramma a torto limitato dall’etichetta “verista”. Calorosissima accoglienza finale, con vere e proprie ovazioni per i tre interpreti principali.

gF. Previtali Rosti

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