Venezia, Teatro Goldoni, 3 e 4 dicembre 2016
Nel 2016 non ricorrono solo i 400 anni dalla morte di Shakespeare, ma anche il quarto centenario dalla scomparsa di Miguel de Cervantes. Il Teatro Goldoni lo omaggia proponendone i suoi Entremeses in lingua originale. L’entremés, ricordiamolo, è una pièce breve da intercalare tra gli atti d’una commedia e, a differenza del paso, non mantiene legami con l’opera in cui è incluso, godendo così di piena autonomia. Il mondo descritto è quello rurale, il dialetto e il linguaggio quotidiano trovano vasto impiego, creando quadri d’istantanea comicità popolaresca. Si deve a Cervantes l’innovazione del genere che, grazie all’aumento del numero dei personaggi, dei temi proposti e dei meccanismi drammaturgici, raggiunse l’apogeo.
Il Teatro de La Abadía di Madrid, giunto al ventesimo compleanno, porta in scena tre degli ocho entremeses pubblicati nel 1615, La cueva de Salamanca, El viejo celoso e El retablo de las meravillas. Se il primo e il secondo vertono sull’ipocrisia della vita coniugale a vantaggio di mogli e amanti – dal Vecchio geloso Petrassi trasse, nella traduzione e versione ritmica di Eugenio Montale, Il cordovano – il terzo è un impietoso ritratto della società contemporanea tra purezza razziale e Inquisizione. In quest’ultimo, i ciarlatani Chanfalla e Chirinos giungono in un borgo col loro “teatrino” avvertendo il pubblico che ai “magici portenti” assisterà solo chi non ha sangue giudeo o marrano. Ciascuno dei presenti quindi, per non compromettere la propria reputazione, fa finta di vedere quello che vuole o gli fa comodo, creando un originale effetto di “non teatro nel teatro”.
Il regista José Luis Gómez fa entrare gli attori in sala, preannunciati da cinguettii (omaggio agli Ornithes e alla commedia antica?), per riunirli sul palco attorno a un albero, elemento centrale impiegato in maniera differente durante gli intermezzi. Un che di diabolico aleggia nella caratterizzazione dei personaggi, impressione confermata in chiusura dalla lugubre nenia e dall’aggiunta di un corno su un ramo, gesto che richiama alla mente El gran cabron di Goya. Un fulcro quindi d’energia vitale attorno cui ruotano i villici, umanità di bassa estrazione, cultrice del basso ventre, ma furba come la volpe. Proverbi a contrasto e cambi costume a vista fanno da legante tra le commedie. Gómez si avvale di un cast affiatato e ricco di interpreti talentuosi, tra cui Palmira Ferrer e Inma Nieto si distinguono quali attrici capaci d’empatia particolare.
Le scene sono di José Hernández e le luci sapienti di Juan Gómez Cornejo ammantano lo sfondo bianco di tinte monocrome. Colorati e attenti ai dettagli i costumi di María Luisa Engel. Il commento musicale dal vivo evidenzia, in un voluto effetto realistico, qualsiasi rumore, dal cigolio allo sbattere della porta, dal vento ai tuoni, affidandoli alla competenza di Eduardo Aguirre de Cárcer.
Pubblico non nutrito saluta la compagnia con calorosi applausi alla pomeridiana del 4 dicembre.
Luca Benvenuti