Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Assicurazioni Generali, 10 e 11 gennaio 2018
Il pubblico che al Rossetti di Trieste ha riempito la platea per assistere il 10 gennaio a La leggenda del pallavolista volante era per la maggior parte giovanissimo, con moltissimi ragazzi delle scuole medie inferiori accompagnati dagli insegnanti. La presenza di classi in platea è ormai un’abitudine per questo teatro, ma solitamente è costituita da studenti degli istituti superiori. L’ulteriore abbassamento dell’età è dovuto forse al tema dello sport e alla partecipazione di un atleta leggendario che ora, dopo l’abbandono dell’attività sul campo è diventato un nome anche come commentatore televisivo? Se così fosse, come già dimostrato dal successo ottenuto la scorsa stagione dalla poesia dell’alpinismo in Paurosa bellezza e dalla narrazione storica de Le olimpiadi del 1936 è evidente quanto sia vincente il connubio tra due forme di spettacolo solo apparentemente antagoniste, soprattutto per le nuove generazioni.
Si deve però rispettare una condizione: se è giusto e doveroso parlare delle azioni che portano al successo o alla sconfitta, ogni racconto non può ridursi a sterile telecronaca ma deve trasformarsi in vicenda umana per mostrare in questo modo cosa ci sia dietro alle grandi imprese sul campo di gioco: la fatica, prima di tutto, unita alla costanza e, nel caso di un gioco di squadra come la pallavolo, alla presenza di un assieme forte e armonico creato dall’intelligente gestione delle singole personalità da parte di un allenatore lungimirante e consapevole che è il fattore umano, oltre alla tecnica, a fare la differenza.
Andrea Zorzi, detto “Zorro” per la sua finissima abilità nel totalizzare punti sorprendendo gli avversari, è stato uno dei campioni della pallavolo (con 325 presenze in Nazionale dal 1986 al 1998), parte determinante del “sestetto volante” che fece sognare gli italiani in quegli anni portandoli ad amare e a seguire con passione uno sport che fino a poco prima veniva considerato abbastanza marginale rispetto al calcio o alla pallacanestro, in particolare quando, guidati dall’allenatore argentino Julio Velasco, vinsero tre ori europei, due mondiali e cinque vittorie nella World League.
Assieme a Nicola Zavagli, “Zorro” è ora autore del testo di questo spettacolo nel quale interpreta se stesso, presente in scena assieme a Beatrice Visibelli che svolge con slancio il ruolo di intervistatrice – spalla, contagiando il pubblico con un entusiasmo che risulta essere un ottimo contraltare alla semplicità del protagonista.
In una scenografia essenziale costituita da alcune panche da spogliatoio che, spostate nel corso della narrazione, creano ambienti funzionali alla narrazione, si dipana la matassa di un’esistenza normale pur nella sua eccezionalità, perché l’indubbio successo dell’atleta veneto, originato da una scelta determinata dal caso, è stato possibile grazie a un lavoro serio svolto con impegno e tenacia senza perdersi d’animo di fronte alle sconfitte, inevitabili in quanto umane e, forse necessarie per dare maggior consapevolezza a quel che si fa.
Tra i tanti ricordi offerti al pubblico, Andrea Zorzi cita le parole dell’allenatore che lo aveva scoperto e scelto avendo scorto in lui le potenzialità poi rivelate, anche se all’epoca non erano così visibili forse anche a causa di un’altezza ragguardevole (oltre i due metri) raggiunta in brevissimo tempo: “quando sbagliavi arrossivi, dimostrando di vergognartene e chi vive l’errore in questo modo si impegnerà per superare i propri limiti.” Sono queste le caratteristiche che fanno di un uomo un campione non solo sul campo, ma anche nella vita; sono queste le occasioni che fanno dello sport una palestra per lo spirito.
Paola Pini