Al Teatro Menotti di Milano, il 17 giugno 2018
La scena è aperta mentre lentamente affluiscono gli spettatori. Sul palcoscenico, alcuni semplici oggetti, tra cui un divano. Si chiacchiera, nell’attesa.
Ma lui è già lì. Quella sagoma indistinta sdraiata sul divano è Paolo Rossi, protagonista del suo ultimo spettacolo, dei quattro ispirati a Molière. E lì e dorme e sogna tutte le parti di sé, i personaggi che ha interpretato o cui ha semplicemente desiderato dare vita. Del resto “qualcuno dice che si può sognare quello che si vuole”.
Se chi sogna è Paolo Rossi non esiste trama, ma solo improvvisazione. Quell’arte apparentemente anarchica, che impone viceversa un rigorosissimo ascolto dell’altro sulla scena, per cogliere le leve e gli spunti da cui improvvisare.
Perché recitare, del resto, quando “ormai là fuori politici, giornalisti, ospiti di talk show lo fanno tutti molto meglio” ? Meglio improvvisare, in un filo che si dipana attraverso i provini degli attori candidati a far parte della compagnia. E dunque è un potpourri di musica, monologhi recitati, virtuosismi di mimo, scambi scoppiettanti di sapide improvvisazioni.
Un delizioso quartetto accompagna dal vivo con una contaminazione di canzoni e danze popolari italiane con il rebetiko, un genere musicale greco nato tra il XIX e il XX secolo. Racconta nel suo monologo Dimitris Kotsiouro, che con il rebetiko le persone emarginate esprimevano i loro disagi. In quel periodo in Grecia i profughi appartenevano a quella popolazione greca in fuga dall’Anatolia di cui era originaria, rifiutata dalla comunità civile perché diversa e viceversa accolta dal milieu malavitoso.
A ricordarci che ogni epoca declina i suoi stereotipi di diversità e i suoi miracoli di accoglienza.
Al Teatro Menotti di Milano, dal 7 al 17 giugno, lo spettacolo Il Re anarchico e i fuorilegge di Versailles di Paolo Rossi, autore regista e interprete, ha chiuso il suo personale percorso intorno a Molière con la quarta e ultima tappa: la storia di una compagnia teatrale che, tra crisi economiche e imprevisti, raggiunge Versailles.
I provini degli attori sono occasioni con cui rivelare la propria anima e raccontare i lati più o meno nascosti della persona Paolo Rossi.
Ecco dunque il seduttore improbabile di Renato Avallone e l’equilibrista stralunato Marco Ripoldi, in bilico sul filo di una immaginaria fune stesa per terra.
Inaspettata ospite è la morte, bianco vestita dall’accento ciociaro e dalla splendida voce di Chiara Tomei, in contrasto con gli stereotipi, che insiste per fare parte della compagnia.
E persino il ricordo di un giocatore funambolico come George Best, emblema massimo della imprevedibilità e quindi della improvvisazione, che segue nel gioco sue logiche creative, in una affascinante partita contro la mediocrità con la bandiera della pace.
Non mancano i tormentoni, gli accenni al vetriolo alla contemporaneità, alle situazioni personali (“già, chi rappresento io ?” si chiede sul palco Lucia Vasini, meravigliosa attrice e storica compagna di Paolo Rossi), le abituali gag sul proprio aspetto fisico (o meta-fisico, come preferisce dire lui).
Divagazioni oniriche, spettacolo, divertimento.
La platea saluta con affetto e trasporto il piccolo, grande capocomico.
Guido Buttarelli