Trieste, Teatro Lirico Giuseppe Verdi. Dall’8 al 16 febbraio 2019
Ci sono pagine liriche strettamente legate alla storia di un popolo.
Per metterle in scena non basta mantenere la lingua originale nella quale erano state pensate e scritte, ma è necessario tener in gran conto lo spirito dell’ambiente culturale di provenienza.
Ben vengano quindi operazioni che, come questa, realizzata dalla Fondazione teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, permettono al pubblico occidentale di immergersi nel mondo de “Il principe Igor’” di Aleksandr Borodin, attraverso una produzione russa.
L’opera è frutto di una lunga gestazione (dal 1869 al 1888), conclusasi dopo la morte improvvisa dell’autore, l’elemento forse più moderato all’interno del Gruppo dei Cinque, grazie alla volontà di Nikolaj Rimskij-Korsakov e Aleksandr Glazunov, gli amici di Borodin che ne avevano seguito il lento procedere.
Divenne in qualche modo opera collettiva, pur nel rispetto del materiale lasciato dal compositore, il cui modo di procedere (versi e partitura venivano scritti assieme, scena per scena) non favorì certo la costruzione di una struttura drammaturgicamente coesa e lineare.
In tali situazioni giova maggiormente assecondare tale caratteristica che tentare di ammorbidirla, ed è stata questa la strada scelta dall’attenta regia di Stanislav Gaudasinsky (ripresa da Pavlo Koshka), dalle scene di Tatiana Astafieva, molto evocative, e dai ricchi costumi.
In un impianto dominato dalla staticità, se si esclude la grandiosa parentesi delle danze polovesiane, in un’alternanza di momenti solenni, lirici, grotteschi o violenti, gli interpreti dei due cast hanno dato buona prova di sé.
La vicenda procede per giustapposizioni, esaltate qui con naturalezza mettendo in evidenza la presenza di blocchi contrapposti: la struttura rigida di un mondo maschilista, quello russo, dotato di una separazione molto definita fra i sessi e le classi sociali, con un’architettura ad essa coerente ed un legame molto forte con una religione di stato che si esprime attraverso l’esposizione di preziose icone, si oppone ideologicamente al nomadismo dei Polovesiani, nemici non soltanto sul campo di battaglia ma incompatibili in ogni aspetto della vita e i loro movimenti, ben più sciolti, ne sono la naturale espressione; il Principe Igor’ è emblema di un mondo solare, antitetico a quello lunare, più proprio agli avversari.
Tutto ciò, musicalmente, è chiarissimo.
Igor e Kontchak sono nemici, ma simili dal punto di vista più strettamente umano.
Il riconoscimento del valore dell’altro e il rispetto reciproco è profondo, reale e sincero; costituisce la logica premessa al lieto fine, l’elemento chiave per uno scioglimento della vicenda che permetta l’esaltazione dell’eroe russo, anche se sconfitto in battaglia, la ricomposizione dei conflitti e la riabilitazione dei grotteschi opportunisti.
Il doppio Coro (preparato da Francesca Tosi) e il Corpo di ballo dell’Odessa National Academic Theater (diretto da Yuri Vasyuchenko), veri protagonisti dell’opera, hanno permesso di apprezzare una presenza scenica, vocale e coreografica (cui è stato demandato anche il compito di legare fra loro numerose scene) di tutto rispetto e l’orchestra, guidata con grande autorevolezza da Igor Chernetsky, punto di riferimento per tutti, si è posta accanto all’azione scenica aggiungendo con grazia colori timbrici, senza mai travalicare lo spazio assegnatole dalla partitura.
Paola Pini