Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Bartoli. Dal 2 al 7 aprile 2019
Due giovani si incontrano per caso sul ciglio di una strada sotto una bufera di neve.
Provengono da mondi e da esperienze molto diverse, ma ciò che li accomuna e li distingue non è quel che appare a prima vista.
Rappresentano con efficacia la situazione attuale di tanti, perché in fondo siamo un po’ tutti “per strada”, in mezzo a un guado, intrappolati su una dorsale scoscesa dalla quale si vedono allo stesso tempo due paesaggi diversi senza la possibilità di scendere a valle, né da una parte, né dall’altra.
Come in ogni epoca di passaggio, si vive sopraffatti da una gran confusione.
Si naviga a vista su una barchetta fragile e malandata, incapaci di comprendere cosa mantenere del bagaglio che ci portiamo dietro da generazioni e cosa abbandonare, cosa accogliere da quel che appare essere “nuovo” e cosa rifiutare.
La società tecnocratica allontana dalla visione umanistica e il singolo individuo si trova sempre più schiacciato da una morsa che non riesce ad accettare; costringe chiunque a continui adattamenti minimi nella realtà quotidiana, ad aggiornamenti costanti, spesso senza alcun senso apparente, il più delle volte fini a se stessi e privi di vera sostanza.
Ciò che conta è raggiungere una maggior efficienza parcellizzata, priva di qualsiasi legame con una generale coerenza di fondo.
Si ha la sensazione di vivere in ambienti simili a cellule, finalizzate a funzionare in modo perfetto (senza peraltro riuscirci), fluttuanti in un ambiente di cui esse ignorano del tutto le funzioni o le necessità e risultanti perciò spesso dannose all’organismo cui appartengono.
Non tutti ci riescono: sono quasi sempre i più sensibili e consapevoli a restare in qualche modo indietro, anche se a volte ciò non appare evidente in modo immediato.
Necessitano più degli altri di trovare il significato ultimo di quel che avviene e in ciò che vivono, alla ricerca costante di una coerenza interna alla loro vita, a volte ricercata fuori da sé, a volte al proprio interno.
Sono quelli che hanno bisogno di una maggior quantità di tempo per digerire ciò che avviene, spesso per riflettere e capire.
Essere meno adattabili non necessariamente è un difetto, ma di certo non è facile sostenerne il peso.
Jack (Francesco Brandi, che firma anche il testo) e Paul (Francesco Sferrazza Papa), si scoprono accomunati da qualcosa che ritenevano essere una caratteristica unica: sono italiani, ma figli di madri inglesi originarie entrambe di Liverpool e si trovano, senza volerlo e ciascuno a proprio modo, ingabbiati in ruoli che non li rappresentano.
Jack ha in sé un pezzetto di Paul di cui ignora del tutto l’esistenza, e lo stesso avviene per Paul.
Poi, l’incontro, in quella notte in mezzo alla bufera.
Da quel momento fortuito, attraverso un serrato scambio, anche acceso e veemente di battute (il cui ritmo è assecondato con efficacia dalla regia di Raphael Tobia Vogel in una scenografia – di Andrea Taddei – più che essenziale, costituita per lo più da oggetti di scena e dai suggestivi video di Cristina Crippa) sempre appassionate, costantemente sospese sul leggero registro della commedia, essi si svelano progressivamente, mai del tutto fino alla sorprendente conclusione.
Paola Pini