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Il fascino discreto della borghesia (Le charme discret de la bourgeoisie)

Data:

FRANCIA 1972 97′ COLORE
REGIA: LUIS BUÑUEL
INTERPRETI: FERNANDO REY, JEAN-PIERRE CASSEL, DELPHINE SEYRIG, STEPHANE AUDRAN, PAUL FRANKEUR, JULIEN BERTHEAU, MILENA VUKOTIC
VERSIONE DVD: SI’, edizione ALAN YOUNG PICTURES

Che si tratti di colazione, pranzo o cena, ogniqualvolta i coniugi Sénéchal e alcuni loro amici, tra cui Don Rafael Acosta, ambasciatore a Parigi dell’immaginaria repubblica di Miranda, decidono di riunirsi per mangiare ne accadono di tutti i colori. Tra l’esercito che chiede ospitalità per le manovre, la polizia che fa irruzione all’improvviso e alcuni malintesi tra ospiti e ospitanti, a casa Sénéchal non si riesce proprio a consumare un pasto in santa pace! E le cose non vanno meglio quando si trasferiscono fuori: può capitare di ritrovarsi in un’osteria in cui si servono i clienti mentre, in un’altra stanza, si fa la veglia funebre al proprietario del locale, oppure si può finire in un caffè dove… è finito proprio il caffè, ma anche il tè, e il latte, e l’unica cosa ordinabile è l’acqua. Nei sogni le cose vanno anche peggio: una sala da pranzo si trasforma in un palcoscenico teatrale, e una discussione tra alcuni invitati finisce a colpi di pistola…

Nella fase finale della sua carriera, caratterizzata da film girati prevalentemente in Francia, il grande regista spagnolo Luis Buñuel (1900-1983) sforna un capolavoro dietro l’altro, a partire da Bella di giorno (1967) fino ad arrivare a Quell’oscuro oggetto del desiderio (1977). Il fascino discreto della borghesia, Oscar per il Miglior film straniero 1973, è forse l’opera di punta dell’anziano Maestro, che torna a prendere di mira la borghesia a distanza di dieci anni da L’angelo sterminatore (1962), altro suo film imperdibile. Mentre quest’ultimo è pervaso da un’atmosfera cupa e drammatica, con accenti quasi apocalittici, ne Il fascino discreto della borghesia il regista mette alla berlina la classe borghese dispiegando tutta la sua ironia e il suo impareggiabile tocco surrealista, mescolando realtà e sogno e creando un universo alternativo inverosimile e folle, dove tutto può accadere. Non c’è da stupirsi, quindi, se il vescovo locale, seguendo l’esempio dei preti operai (come spiega lui stesso), si presenti a casa Sénéchal per farsi assumere come giardiniere di famiglia, oppure se i dipendenti di una piccola osteria proseguano il lavoro mentre il proprietario giace morto all’interno dello stesso edificio.

Al di là del clima divertito e grottesco, al di là delle gustose trovate dissacranti e dei dialoghi improbabili, quella operata da Buñuel è un’impietosa demolizione socio/antropologica dell’”uomo borghese”, mostrato in tutta la sua dissolutezza morale e materiale. Il regista ne ha per tutti: per i rispettabili professionisti, per i politici, per i militari e perfino per gli uomini di Chiesa. Difficile stabilire chi dia il peggio di sé: forse l’ambasciatore Acosta, trafficante di droga e maniaco di sesso e cibo? Oppure i suoi cari amici – e complici – Henri Sénéchal e François Thenevot? Oppure, ancora, il vescovo-giardiniere Monsignor Dufour che, chiamato al capezzale di un moribondo, dopo aver scoperto che l’uomo è l’assassino dei suoi genitori si produce in una “commovente” dimostrazione del perdono cristiano? Che dire, poi, delle signore, e del loro impeccabile contegno? E dei soldati, che non disdegnano una fumatina di marijuana anche quando sono in servizio, e se la prendono comoda a dispetto degli ordini? Rispetto ad altri film surrealisti di Buñuel piuttosto intricati, come il successivo Il fantasma della libertà, Il fascino discreto della borghesia ha una struttura narrativa più lineare e comprensibile, perciò il messaggio arriva limpido e forte, e lo spettatore, anche se poco o per nulla abituato a questo tipo di cinema, riesce a capire e a divertirsi: impossibile chiedere di più!

Tipiche del surrealismo sono due tematiche ricorrenti all’interno del film: il desiderio insoddisfatto e gli atti mancati, oppure incompleti; e infatti, i protagonisti non riescono mai, o quasi, a fare quanto stabilito e programmato. Questo accade anche nei dialoghi, spesso interrotti bruscamente: chissà come sarebbe stato il “Sogno del treno” del soldato, il cui racconto è rimandato ad altra occasione perché la truppa deve ripartire da casa Sénéchal? E quali argomentazioni teologiche avrebbe utilizzato il vescovo per tentare di comprendere – e magari recuperare – la donna che gli ha candidamente confessato la sua avversione per Gesù, senza però poterne specificare le ragioni? Il cinema surrealista di Buñuel non dà spiegazioni, lascia in sospeso, gioca con le attese e con il senso logico dello spettatore. E, tanto per confondere ancora di più le acque, alcuni dialoghi sono inintelligibili, perché – guarda caso – coperti da rumori ambientali proprio “sul più bello”…

Memorabile il cast degli attori, al cui interno brilla il grande Fernando Rey, connazionale del regista e già da lui coinvolto in opere del calibro di Viridiana e Tristana, qui impegnato a dar corpo e voce a Don Acosta, probabilmente il personaggio più sgradevole del film. Partecipa con un piccolo cameo (nel ruolo del ministro) un altro grandissimo del cinema mondiale, Michel Piccoli, anche lui presente in altri film di Buñuel; nel ruolo della cameriera Inès troviamo la “nostra” Milena Vukotic che, prima di diventare la “signora Pina” nella saga di Fantozzi (al posto di Liù Bosisio, a partire dal terzo film della serie, Fantozzi contro tutti, 1980), aveva già alle spalle una prestigiosa carriera – anche se quasi sempre in ruoli marginali – nel cinema d’autore (oltre a Buñuel, nel suo curriculum vanta partecipazioni a film di Fellini, Scola e Dino Risi).

Quasi del tutto assente la colonna sonora: l’unica scena in cui si sente della musica è quella ambientata nel bistrot in cui le signore non riescono a ordinare da bere, consolandosi poi ascoltando l’assurdo racconto di un giovane soldato.

Due parole, per concludere, su un altro “mistero” legato a Il fascino discreto della borghesia: durante il film si assiste a un’enigmatica scena ricorrente (che costituirà anche il finale) in cui si vede il gruppetto dei sei protagonisti camminare per una strada secondaria in mezzo alla campagna: forse il regista vuole mostrarci lo “spettacolo d’arte varia” – per citare Paolo Conte – dei “corpi borghesi” che, finalmente al naturale e senza i veli dell’ipocrisia, si rivelano in realtà anonimi e banali, molto simili a quella “massa” da cui pretenderebbero di distinguersi in virtù di una pretesa superiorità. In tutto ciò è sottintesa la visione buñueliana del genere umano nella sua interezza, non certo edificante e ottimistica, ma… “UNA RISATA VI SEPPELLIRA’”!

Francesco Vignaroli

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