“La mia risposta alla censura, una foto nudo con il mio libro che copre ‘l’essenziale”: Intervista allo scrittore napoletano Frank Iodice

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“Frank Iodice è uno scrittore di origini napoletane, autore di numerosi romanzi e racconti. Vive in Francia da quando aveva vent’anni, lavora come guardiano notturno e si dedica con passione e costanza ai suoi libri e alla sua bambina, Matilda”. Questo è quanto si legge nella sua mini bio in calce agli articoli pubblicati un po’ dappertutto. In realtà è molto poco rispetto a una vita avventurosa, una produzione letteraria di tutto rispetto e una serie di collaborazioni molto interessanti in Francia e negli Stati Uniti. Iodice è un autore “silenzioso” ma allo stesso tempo “rumoroso”. Da scoprire, senz’altro. L’abbiamo intervistato per farci raccontare qualcosa in più su di lui, sulle sue numerose pubblicazioni e su un recente caso di censura che ha visto protagonista il suo nuovo libro, “Divagazioni superflue”.

Caro Frank, raccontaci di te e della tua letteratura, i tuoi temi, le tue angosce.

“Una volta ho detto che non c’era nulla che mi faceva paura perché tutto quello che ho me lo sono guadagnato col sudore. In realtà quella frase era riferita al contesto di cui si stava parlando, le raccomandazioni, le pubblicazioni a pagamento, eccetera. Ma se parliamo della paura vera, profonda, quella con cui convivo tutti i giorni, sia quando siedo alla scrivania, sia quando non mi ci siedo, allora ne provo, eccome. La paura, come il coraggio, è necessaria, ti aiuta a fare meglio il tuo lavoro. Va gestita bene perché è come la troppa sicurezza in se stessi: può immobilizzarti. Riguardo alla mia ‘letteratura’, non saprei se chiamarla così. Scrivere è qualcosa che faccio con amore da quando ero bambino, uno stile di vita, una maniera di stare al mondo con empatia. Sono uno che legge tanti romanzi e se è fortunato, ne scrive anche qualcuno. Entrambe le attività provocano emozioni simili. A volte infatti inizio una nuova storia quando in casa non restano più libri da leggere. Scrivo perlopiù di antieroi che cercano di riscattarsi, vittime dell’ingranaggio sociale, devastati dagli abbandoni e dall’incomunicabilità. Cerco di mettere in risalto emozioni profonde, che tocchino corde importanti dello strumento umano. E per farlo, uso quell’umorismo che fa ridere e anche piangere”.

Quanti libri leggi in media in un anno?

“Non lo so, non ho mai fatto il calcolo. Una decina al mese, a volte di meno, a volte di più. Spesso due, tre contemporaneamente, a seconda del momento della giornata. Quando lavoro di notte (Ho fatto quasi sempre lavori notturni), mi resta molto tempo per leggere e per scrivere. Di giorno, cerco di sfruttare ogni momento utile, ad esempio mentre sto in fila alle poste, mentre mangio o mentre passo l’aspirapolvere. Non leggo ancora sotto la doccia, come Ulises Lima, ma ci manca poco”.

E non guardi un po’ la televisione, di sera, seduto sul divano, come tutta la gente normale?

“No, mai, ne ho vista abbastanza durante l’adolescenza, ora devo recuperare il tempo perduto. E poi, con l’immondizia che propone oggi la televisione generalista…”.

La copertina del tuo nuovo libro ha fatto insorgere e ha diviso il popolo del web. Cosa è successo esattamente?

“Una book influencer si era interessata alla raccolta di racconti appena uscita e ne ha richiesta una copia all’editore per postare delle foto sul suo account Instagram. Pare che ci siano state delle segnalazioni per il nudo ritratto in copertina (un dipinto dell’artista milanese Alessandro Bellucco). L’account della ragazza è stato oscurato e la foto, rimossa. La mia risposta a quest’atto di censura sarà una fotografia completamente nudo con in mano il libro che copra giusto ‘l’essenziale’, corredata da un breve articolo in cui racconterò questo episodio. È triste che nel 2020 succedano ancora cose del genere. Internet è uno spaccato della società, è vero, e bisogna rispettare anche chi si sente a disagio davanti a un dipinto di una persona nuda. (Dico ‘persona’ perché nel quadro di Bellucco, non vedo né una donna né un uomo, ma noi tutti, nello stato indignitoso in cui ci siamo ridotti, a succhiare noi stessi davanti a uno specchio). Ma non capisco come possano riscuotere tanto successo, allora, le migliaia di profili di ragazze e ragazzi che passano il giorno a cercare di fotografarsi il culo. È questo il mio paese, l’Italia, che in tanti anni di lontananza io forse ho idealizzato? Censurare un dipinto d’autore e premiare foto erotiche di minorenni? Il problema è che i social network sembrano un luogo democratico, ma si tratta di una democrazia di tipo statunitense, non ce lo dimentichiamo: libertà lungo binari prestabiliti”.

Sembri conoscere bene il sistema americano.

“Solo un po’. Ho lavorato negli Stati Uniti e per anni ho giocato a baseball, a Nizza e a Menton. Se analizzi il baseball, capisci il pensiero scientifico. È uno sport molto tecnico, ogni più piccolo movimento è studiato negli anni di esercizio meccanico. Ci si muove lungo linee rette, su un cosiddetto diamante, che ai quattro angoli ha le basi. Mentre nel gioco del calcio, per esempio, c’è una parte tecnica e una parte lasciata all’estro dei giocatori, alla loro capacità di improvvisazione, nel baseball tutto è prestabilito, il gioco è quello che sta sulla carta e si svolge tenendo a mente le statistiche di ogni giocatore. Tanto è vero che i momenti più emozionanti, più umani, sono quelli in cui si fanno degli errori e l’azione si reinventa nei brevi secondi che seguono. Ma persino queste emozioni vengono quantificate in statistiche. Infatti sul tabellone, insieme ai punti e al numero di battute si segnano anche gli errori. Nel baseball esiste un’umanità solo nell’azione individuale, vissuta come sfida con se stessi, non con gli altri. E questo riflette anche il pensiero individualista.

Porti avanti anche un’importante collaborazione con l’Augusta University.

Il Dipartimento di English and World Languages mi ha ospitato diverse volte, sia quando vivevo negli Stati Uniti, sia dopo. Ho presentato e regalato agli studenti il ‘Brief Dialogue on Happiness’, il racconto/intervista a Pepe Mujica tradotto in diverse lingue. Poi ho partecipato al Writer’s Weekend, una manifestazione annuale a cui sono invitati autori e autrici da tutto il mondo. Ho fatto delle class visit, conferenze online; il 28 ottobre parlerò agli studenti della figura di Camilla Faà Gonzaga. Collaboriamo anche per la creazione di libri da diffondere gratuitamente in zone disagiate. Gli studenti hanno tradotto in inglese, spagnolo e portoghese alcuni miei testi, illustrati da Gary Taxali e Fernando Cobelo. Abbiamo pubblicato una raccolta di racconti scritti da tre professori e tradotti in spagnolo dagli studenti. È una collaborazione che si è sviluppata parallelamente all’attività no profit della mia associazione culturale, nata proprio con lo scopo di diffondere libri in zone povere o paesi sottosviluppati. Di recente, abbiamo spedito scatoloni di libri fino in Costa Rica. Ma anche in Italia, per esempio all’Istituto degli innocenti, a Firenze.

Per i tuoi romanzi trai spunto da esperienze realmente vissute.

“Non è quello che fanno tutti? I libri hanno sempre elementi autobiografici, alcuni di più, alcuni di meno. Nel mio caso, il fulcro della storia è radicato nel vissuto, non ne ho mai fatto un mistero. Tutto il resto è costruzione narrativa. Ma non ci sarebbe costruzione se prima non ci fossero emozioni reali che la mettono in marcia”.

Se guardiamo alle statistiche, salvo pochissime eccezioni, gli scrittori e le scrittrici hanno sempre un altro lavoro, e anche tu non fai eccezione, benché nel tuo caso si tratti più di esperienze formative che lavorative, o sbaglio?

“Forse è una fortuna che molti scrittori siano nati poveri e non possano permettersi il lusso di scrivere e basta. Nel mio caso, ho sempre lavorato, ho fatto di tutto, dal cartello umano all’insegnante d’italiano per stranieri, ma non solo per mantenermi, l’ho fatto per vivere esperienze utili e scrivere storie verosimili. Infatti ho cambiato lavoro di continuo. Nonostante dedichi gran parte del mio tempo a questa attività e sia l’unica che porto avanti con passione e costanza, non saprei immaginarmi una vita fatta di sola scrittura. Credo che non scriverei più nulla. Come diceva Jack London, ‘narrare vuol dire vivere’. In altre parole, la vera letteratura è fatta di vita, non di parole. (Questo l’ho detto io)”.

Una delle domande che da lettori ci si pone davanti a un romanzo, è come si fa a tirar fuori tante parole dal nulla, come se fosse una magia.

“Nessuna magia, ti devi fare un culo così. È vero che esistono alcuni passaggi all’interno del testo che nascono in maniera estemporanea, si direbbe quasi sotto un influsso esoterico. È un po’ come se la tua voce interiore ti dettasse le parole. Ci sono notti in cui, stordito dal sonno e dalla stanchezza, vado avanti senza pensare e mi ritrovo con pagine che sembrano scritte da qualcun altro. Ma per il resto del tempo si tratta di un lavoro di costruzione, molto razionale, di assemblamento, rimozione e intreccio di queste immagini, per creare una solida struttura portante. Lavoro molto sulla memoria e poi costruisco, pezzettino dopo pezzettino”.

Cosa ti aspetti da quello che hai seminato? Come vedi il tuo futuro?

“Anche il futuro mi fa un po’ paura, ora che mi ci fai riflettere. Soprattutto in questo periodo negativo a livello mondiale. Penso perlopiù al futuro di mia figlia, adesso mi interessa solo quello. I libri, poi, sono semine strane, non le raccoglie il contadino, ma chiunque passi per il suo campo. Se parliamo di futuro prossimo, invece, sono molto felice perché sto per ricevere un nuovo pacco con trenta romanzi dall’Italia a prezzo scontatissimo”.

Grazie per il tuo tempo, Frank. Allora aspettiamo il nudo!

“Contaci. Per difendere la libertà di espressione, questo e altro”.

Francesco Polacchini

Link utili
www.frankiodice.it
https://en.wikipedia.org/wiki/Frank_Iodice
https://www.ibs.it/libri/autori/frank-iodice
https://articoliliberi.com/

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