Lo conosciamo come Artista visivo, ma non tutti sanno che Angelo Di Bella è anche Artista della parola, Poeta! La sua passione per questa disciplina nacque quando sua madre gli regalò le raccolte di Clemente Rebora e Dino Campana. Cominciò giovanissimo a scrivere e infine pubblicò anche un volume dal titolo latineggiante: Pulvis (Polvere).
Come nella pittura, anche in queste liriche Di Bella sprigiona la sua intesa e profonda energia spirituale. Sono descrizioni spettrali, atmosfere mistiche dalle potenti tinte, capaci di arrivare immediatamente all’intimo del lettore. Sono parole materiche, che invadono la pelle prima ancora di arrivare all’intelletto. Di Bella indaga l’ignoto della vita, rappresentando soggetti allo stesso tempo incorporei e tangibili, ponendo in connubio la vita e la morte, consapevole che l’esistenza e fatta di nascite e lasciti, questo attraverso uno stile che unisce immagini incisive a un ritmo fluido e lirico.
A mio padre, con il cappotto da vecchio montanaro
Il tempo compiuto
Solo, nella stanza vuota
Posso ridare vita
A quel geranio sul davanzale,
E nello specchio
La bestia selvaggia
Quasi per tacita convenzione, ammicca.
Sono segrete le voluttà vere,
come certe femmine
che nei pomeriggi autunnali
Stendono il bucato gonfio
Come il mare.
Ieri non avevo l’ aria,
Oggi ho perduto un occhio.
Lì sotto l’armadio.
Le lacrime tornano indietro.
Ora esco nella mattinata pallida,
E sento che mi sei accanto,
E per quelle vie dove
Nessuno si affaccenda,
Trovo un piccolo sconosciuto sul ramo di un albero,
Che con colpetti scuri
Fa schioccare le ali.
Ecco, la candida luce del crepuscolo,
E passo soltanto accanto al muro.
E verso casa,
Osservo come la campagna
Lievemente,
Indora.
Silenzioso
In cambio di un bacio,
Gli offro i campi brulli,
Lei silenziosa giunge,
Lievemente mi sfiora,
Mi abbandono sull’ erba,
E dico di amarla,
Così come si ama un prato,
Un fiore,
Il sole.
Dappertutto ha il cuore
Sotto
La pelle,
E ha l’ aria di sapere
Cos’è il dolore.
Dietro lo steccato,
Nell aperta campagna,
Vicino agli olmi centenari,
Come un delirio,
O un grido,
Strinsi la sua mano.
La festa della pazzia
Muore il grido nella
Sera,
E su un carro di fortuna
Vado ciondolando
Di qua e di là.
E le luci,
E le pozzanghere,
E il vento dentro le facce
Frettolose.
Tu puoi ascoltare queste mie parole?
Non senti come un brusio
Tra le vocali.
Impazzì d amore.
Come un angelo stralunato per la via.
Quell’ombrello li sulla panchina, sembra dimenticato.
Sempre fermo in quel punto
Quell’uomo mi guarda e si fruga in tasca,
Dall’altra parte della strada,
Col cappotto logoro
Coi capelli arruffati,
Quell’uomo è come un cielo sciolto,
Come un cane sciolto,
Quell’uomo è come la nebbia.
Si fruga in tasca e sorride.
Ti darei tutta la mia fame e la mia sete.
Non riesco a sentire.
Il mondo ci parla addosso.
Quell’uomo si gratta e Sorride.
Non è sempre
La morte
Ad avere
L’ ultima parola.
Aspettai sotto la pioggia
E lei
Non lo sapeva.
Le pareti della mia stanza
Da qualche tempo
Io fumo
Sdraiato nel letto,
Guardando il soffitto che corre via lontano,
Fumo come un turco,
E non avanzo nessuna
Ipotesi,
Per spiegare questa mia
Debolezza.
Poi con il manico di scopa
Do colpetti al tetto
Come preavviso
Che il vecchio poeta
Se rotto i coglioni
Di sentir ruzzolare sedie e
Passi
Tutto il santo giorno.
Vorrei morire sano,
Dopo esser vissuto malato tutto la vita,
Non malato nel corpo,
Ma di un insanabile odio che mai s’ arresta,
E che da me,
Solo da me,
Sempre ritorna.
Sono morto troppe volte
Ridendo,
Aspettando,
Fottendo,
Sbraitando,
Sempre con la faccia di uno a cui hanno sussurrato al buio,
Con la faccia di uno
Che viene mentre dorme,
Con la faccia di uno
Che guarda
Un culo
Di donna e piange,
Con la faccia di uno
Che ha bevuto il vino
Aspettando il telefono,
Una carezza,
Una rissa,
Un buon motivo per tagliar
Via la corda…
E alla finestra sempre
Vanno gli occhi,
Col cielo chiaro e gli alberi nudi,
E il mondo coperto di fanghiglia,
E tutt’intorno gente,
Con gli occhi spalancati
Dietro le mascherine,
Spogliati dalla luce,
Tutto il contrario della Notte.
Un giorno credetti di essere avviato alla felicità,
Ma durò solo
Il viaggio di nozze.
Sparì con la semplicità
Con cui i colori dell’aurora spariscono,
E questo mio esistere
Fu la fede
Di tutta la mia vita.
Ecco un poeta
Ecco il poeta come un vetturino o un cicerone,
O come uno che cerca avanzi
Nel bidone
Dell immondizia
Con i topi che squittiscono
E fanno avanti e indietro.
Il poeta è uno con in faccia
Stampato il rifiuto,
È uno con la diarrea
E la prostata come una cipolla,
Uno che s attarda nel raggio del giorno,
E dietro l immagine delle cose perdute,
Dentro le case vuote,
Nei sorrisi sgangherati,
Nella carne del vortice libidinoso.
Il poeta è un abbandono e Un rifiuto,
Uno che si cerca sotto la suola delle scarpe il futuro,
Il poeta è tutta la bellezza celeste e liquida,
Il trascorrere rapido del meriggio,
Il poeta è l estate e la frutta succosa,
Il poeta è la morte,
Con le dita gialle e le labbra viola,
Il poeta è le strade,
Quelle morte,
Quelle pulsanti di vita,
Dove tutti passano
Su chi sull’asfalto si scioglie
Senza più un nome,
Il poeta è colui che vi uccide improvvisamente,
In una lunga nera scia
Di parole terrificanti,
Il poeta è nessuno,
E cammina assieme agli altri fianco a fianco.
Il poeta è un fanciullo segreto che sibilando
Trattiene l alba,
Il poeta e la mezza luna gialla nelle città selvagge e putride,
Il poeta è un ricordo di forme oscure,
Con braccia recise e denti e capelli,
Il poeta è l eco del suono e della visione.
Ecco il poeta,
Che nelle antiche strade di paese fa risuonare i passi nell oscurità,
Impalpabile come l’ aria,
Ecco il poeta silenzioso
E senza grazia.
Gli offre una rima
In cambio
Di un bacio.
Ecco, un tocco umano.
Il poeta tace.