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ZACK SNYDER’S JUSTICE LEAGUE: AVREMO POTUTO FARNE A MENO

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Da dove partire per tratteggiare un commento sintetico ad un film di quattro ore? Probabilmente, dal nodo imprescindibile, il famoso giudizio sommario, spogliato di argomentazioni, nudo, diretto: Zack Snyder’s Justice League è un film sicuramente più riuscito della precedente versione, ma allo stesso modo fallimentare. C’è meno approssimazione in ciò che racconta, più coesione tra le parti narrative, questo gli va dato atto, ma non aggiunge nulla di rilevante, non lo dice in maniera così diversa, è ripetitivo fino alla nausea, è fintamente epico fino allo sfiancamento.

Quattro ore per raccontare una trama che si può riassumere in poche righe: gli alieni cattivi invasori, capitanati dal non temibile Darkseid e dal suo fidato scagnozzo che fa meno impressione e paura di del pomposo, ma inetto Thanos marveliano, vogliono distruggere la Terra. Batman cerca di riunire i supereroi per combattere insieme, e così allontanare la minaccia, sconfiggere il Male e salvare tutti. Ci riesce, senza troppi patemi, fa anche resuscitare Superman, e con Superman in squadra potrebbe vincere anche Pierino di Alvaro Vitali, quindi vissero tutti felici e contenti, tranne gli spettatori, ovvio, costretti, per fare un esempio, a sorbirsi qualche sequenza onirica su un futuro probabile, polveroso e piatto, dove i nostri recitano davanti a green screen di prim’ordine e di fatto non dicono nulla, e non allarmano nemmeno il fan più attento ad ogni parola e virgola del discorso; dove c’è quel Joker di Jared Leto che più inutile, macchiettistico, preconfezionato non si può. Insomma il film è lungo perché Snyder si diverte a più non posso con slow motion e ralenti, suo marchio di fabbrica: quindi per raccontare Flash che salva una bella donzella che stava schiantandosi al suolo dopo aver impattato con la sua auto un camion, ci mette un quarto d’ora, ripetendo primi piani e campi/controcampi per dieci minuti, per poi far scomparire la giovane dalla storia.

Snyder ama guardarsi allo specchio. E fallisce, perché allo spettatore di lui che si guarda e si crede bravo e bello, non interessa. Il regista si incarta nel suo stile autoreferenziale, compiacente, ridondante nelle solite inquadrature a campo lungo dall’alto. Ha un suo segno distintivo, lo riconosci, le sue immagini sono cupe, prive di colori, dense di ombre e chiaroscuri, il tono è drammatico, ma è un marchio distantissimo dall’essere un qualcosa di artistico o comunque cinematografico, quando poi soprattutto alla base hai una sceneggiatura di cartapesta, talvolta così amatoriale da far rimpiangere un film della Marvel. La scrittura resta il problema principale del film, è il problema di ogni cinecomic: in pochi sono riusciti a trasformarlo in punto di forza, rendendo gli sviluppi narrativi verosimili, i contenuti interessanti e pertinenti, le dinamiche tra i personaggi credibili e il loro trattamento psicologico ben definito, e non considerando lo spettatore, a conti fatti, un essere privo di cervello, pensiero critico e intelligenza. In realtà c’era riuscito anche proprio lo stesso Snyder, non tanto e non solo nel bellissimo Watchmen, un cinecomic un po’ a sé, ma proprio con Batman vs Superman, o almeno, con la prima ora di quel film là: lo scontro da divino e umano, già di per sé uno spunto più interessante dell’unione fa la forza di questo film, si sposava con perfetto bilanciamento all’idee visive di Snyder, aveva un’urgenza profonda di racconto e svelamento, un’esigenza artistica e cinematografica.

In Zack Snyder’s Justice League gli eroi fanno squadra senza avere elementi divisivi o alcun conflitto, quindi senza doverli superare: ben più organizzato su questo tema è stato il primo film sugli Avengers targato Marvel e Whedon. Resta interessante la linea narrativa dedicata al personaggio di Cyborg, il suo processo di crescita e di accettazione, tanto che Snyder la rende nucleo dell’opera, ma troppo poco per giustificare quattro ore di film, e troppo poco per un personaggio che non riesce a crearsi un vero e proprio spazio a fianco di monumenti del cine fumetto come Batman e Superman, ma come anche gli stessi Wonder Woman e Flash. Flash, per inteso, che resta il personaggio più bilanciato, più coerente, più divertente: con lui in scena la visione diventa subito meno faticosa e trova un senso.

Una struttura più ampia e pensata non basta per passare sopra a momenti di puro imbarazzo (continuare ad elencarli renderebbe questa recensione lunga come la Snyder’s Cut), con battute didascaliche così spiattellate da coprire qualsiasi contesto narrativo e dominare situazione e personaggi, e i famosi “spiegoni” messi là senza nemmeno un minimo di misura e accorgimento quantomeno per sfiorare il ridicolo, e non per buttarcisi proprio a capofitto: roba che non si vede nemmeno nei cartoni animati per i bambini e, ripeto, nemmeno nei peggiori film Marvel.

Poi, va detto e ripetuto, Snyder ha un tono e uno stile, un gusto, riconoscibili, personali, che i fratelli Russo (per citarne due a caso) si sognano; certe sequenze di Zack Snyder’s Justice League hanno impatto, forza visiva, potenza visionaria, sono belle, insomma, godibili. Ma non bastano, non basta questo taglio personale se diventa strabordante, se rincorre se stesso per superarsi ogni volta, non basta ad accantonare tutti i problemi di questa operazione, e renderla, infine, opera. Opera d’Arte.

Simone Santi Amantini

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