Handel con Theodora infiamma la Scala

Data:

Sabato 20 novembre 2021 al Teatro alla Scala di Milano

Testimone il Rev. Morell, Theodora era fra i sui oratori, quello che Handel preferiva, e non per ragioni affettive, ossia perché era stato un fiasco. Sì, un sonoro smacco per il compositore naturalizzato inglese che l’aveva scritto tra il 1749 e il 1750, ultimo periodo di composizione, alla veneranda età (per quei tempi) di sessantacinque anni. Theodora sarà il penultimo oratorio drammatico, andato in scena il 16 marzo 1750 al Teatro di Covent Garden che, pur suscitando l’ammirazione di molte persone dell’entourage musicale londinese, sarà dato per altre due sole serate. Ripreso una sola volta nel 1755, per un solo concerto. Scarso il pubblico, che non riempiva neppur a metà la sala: londinesi allarmati da piccole scosse di terremoto, o forse scoraggiati per l’austero soggetto, o molto semplicemente perché i capolavori non sono subito compresi. Handel stesso consolava gli amici che si dolevano per il fiasco subito: “Poco importa, la musica non suonerà che meglio” Never mind; the music will sound the better. Theodora occupa un posto particolare nel catalogo handeliano, perché a differenza degli altri oratori tra spunto non da storie bibliche ed è l’unico che si svolge nell’era cristiana. E’ il nostro S. Ambrogio che per primo parla del martirio di Theodora e di Didymus nel De Virginibus. Nel seicentesco Acta sanctorum, una collezione delle vite di santi tratte dagli scritti dei Padri della Chiesa si trova la leggenda narrata. Il libretto si deve al Rev. Morell che pur conoscendo l’omonimo testo di Corneille, trarrà ispirazione dal The Martyrdom of Theodora and Didymus di Robert Boyle, scritto con intento educativo per la difesa della dottrina cristiana. Morell ne segue la trama e la caratterizzazione dei personaggi ma apporta rilevanti cambiamenti: istituisce i cori romani e cristiani, approfondisce la figura di Irene, eleva Septimius a rango di personaggio e Didymus diventa un soldato romano. Pur seguendo pedissequamente i dialoghi di Boyle, scarta le prolisse disquisizioni teologiche, concependo un libretto adatto alle aspettative di Handel. Oltre che Oratorio drammatico è un dramma sentimentale, genere teatrale molto in voga nell’Inghilterra del XVIII secolo, le cui caratteristiche principali si ritrovano anche negli altri oratori handeliani, ma mai così sviscerate e dilatate come in Theodora: dilemmi morali, emozioni tenere e pure, rispetto e sensibilità per i sentimenti altrui, eroici esempi d’altruismo, staccano dalla pagina i personaggi che potrebbero sembrare troppo ideali. Septimius incarna uno dei temi principali dell’oratorio, la libertà di pensiero e in favore della libertà religiosa; Morell non si esprime in favore di una forma precisa di cristianesimo, smarcandosi dalla propaganda anticattolica del tempo. La caratterizzazione della martire, risoluta e decisa, forte di carattere, è si tipica dell’epoca, eppure con uno sguardo all’avvenire.
Il lettore del libretto potrà essere infastidito dall’apparente austerità della protagonista, priva di grazie femminili per essere seducente nella santità, è crudelmente criticata anche da Winton Dean che nel suo Handel’s Dramatic Oratorios and Masques la definisce “una delle sante più insopportabili di tutta la letteratura religiosa, somigliante alla più rigorista delle governanti vittoriane”. Ma c’è Handel, e il testo viene trasformato dall’espressività della musica che impregna e vitalizza ogni personaggio, evocando quella felicità spirituale cui aspirano (difficile comprenderlo per i materialisti odierni) non risentendo più che in lontananza la crudeltà, la violenza o l’incombere della morte stessa. Questa, forse, una spiegazione del perché Theodora non fu compresa e accettata. La musica di Handel ha un impatto emotivo che scavalca il racconto storico: l’irresistibile fascinazione sprigionata dalla bellezza sonora e creativa, la percepibile intensa drammaticità rendono vivi e pulsanti questi santi martiri degli albori del cristianesimo. Infine, il coro del II atto è uno dei suoi più belli, ben di là dell’Hallelujah del Messiah. Il Teatro alla Scala inserisce Theodora nel suo cartellone, Concerti straordinari, affidandola a voci di sicuro richiamo con l’Orchestra e Coro Il Pomo d’Oro, direttore Maxim Emeyanychev. Orchestra che sin dall’ouverture mostra la sua cifra stilistica, sensibile, intensa nell’espressione con Emeyanychev che sedeva anche al clavicembalo. Una direzione che predilige tempi larghi, a volte addirittura compassati, nella bella tenuta, sempre attenta al fraseggio dei cantanti. Qualche secchezza nell’accompagnamento al clavicembalo. Si è scelta un’esecuzione semi-agita dell’oratorio handeliano, dove le emozioni suscitate dalla musica trasparivano sui volti dei cantanti, riflettendosi in accenni di posture teatrali, oltre a un entrar e uscir dal palcoscenico. Quest’ultimo soprattutto non ha giovato alla partitura che, il non-educato pubblico ha considerato alla stregua di un’infilata di arie, da applaudire e sottolineare con grida di entusiasmo al cantante preferito. Stroncando così ogni velleità del direttore di tessere un fluxus drammaturgico continuo, senza contare la fatica (e l’incertezza) di riprendere ogni volta a ricreare l’atmosfera sfumata. Valens, Governatore d’Antiochia dalla dizione scandita, era John Chest, basso dal timbro piacevole, non scurissimo, voce rotonda ben emessa. Appropriata, anche se coloratura, gravi non pieni e risuonanti; buon fraseggiatore e molto espressivo, efficace nella raffigurazione del personaggio. Didymus ha il timbro non accattivante del controtenore Paul-Antoine Bénos-Djian, sicuro in acuto, dove la voce suona e corre, mostra centri scarsi mentre è sorprendentemente più ricco nel registro basso; apprezzabile nella messa di voce, ma la sua coloratura non è fluida.  Bene rende l’aria The raptur’ d soul, ma in Kind Haven mostra fastidiosi suoni fissi. Sempre improntata a mestizia la sua interpretazione. Septimius era Michael Spyres, tenore dall’emissione spontanea e naturale, flusso di voce ampia, timbro con screziature baritonaleggianti; sembra abbia due voci, due registri che non riesce perfettamente a fondere. Ha lunghezza di fiati che fa valere nell’aria Descend, tanto è bella l’aria! lega bene e abbozza trilli. Troppo rutilante e perentorio nell’aria Dread the fruit, dove la vocalizzazione spianata e spinge sugli acuti. Di Irene di Joyce DiDonato si apprezza la maestria, ma la voce si è indurita e i suoni fissi si sono fatti più presenti (nell’aria Defend her). E’ comunque la più appropriata nelle colorature, sempre ben sgranate, al meglio in Lord to Thee, ma con tempi ancor più allargati. Nell’aria Bane of virtue si segnala per la marcata dizione; la voce, sonora in alto, mostra centri più vuoti. Stupenda l’aria As with rosy, dove fila e smorza. Interpreta in maniera teatrale il suo personaggio, come se fosse in scena, col rischio di sembrar manierata. Ma con classe. Infine Theodora era Lisette Oropesa, voce con un vibrato stretto, sfrutta le caratteristiche del suo timbro posando a una Santa perennemente sul malinconico fisso, in estasi, dai pochi colori vocali, agìta sul volto la stilizzata recitazione. Nell’aria Fond flatt’ring world, gioca la carta del patetico, con suoni filati, in Angels, ever bright si fa astratta preghiera, mentre trova accenti accorati e “plaintive” nella più bella tra le arie della Theodora, quel With darkness deep che Handel addirittura riscrisse…Coro omogeneo e scattante, capace di smorzare e rendere percepibile la sublimazione della preghiera finale. Tempesta di applausi finale, con ovazioni per la DiDonato da parte di un pubblico finalmente impazzito per Handel? Recita del 20 novembre.

gF. Previtali Rosti

Foto Brescia e Armisano

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