Fino al 19 Dicembre 2021 al teatro dei Servi di Roma
La vita è spesso ricca di brutte avventure, esperienze negative, che una volta superate fanno tirare un sospiro di sollievo e provare una ritrovata felicità, che ti restituisce il gusto dell’esistenza come se fossi nato per una seconda volta. Questo è, forse, il caso di Antonio Romano che ,uscito con gioia e serenità da una situazione che per lui poteva assumere aspetti drammatici per via d’una patologia grave che aveva contratto, aveva voglia d’esorcizzarla del tutto e per questo ha scritto un bel copione teatrale in due atti, che tocca i temi più scottanti dell’attuale società : crisi economica delle famiglie e mancanza di lavoro di molti giovani e dei licenziati dalle fabbriche che trasferiscono la loro produzione all’Est dove il costo della manodopera è minore, dopo aver ricevuto dei finanziamenti dallo Stato od agevolazioni nel pagamento dei contributi e delle tasse. Siamo dunque nella casa di Giuseppe che lavora in un cantiere navale sul golfo di Napoli alle prese con miscele di verniciatura e materiale marittimo per la rifinitura delle navi, ma con uno stipendio basso ed alle prese con la moglie Antonietta che allevia le proprie sofferenze interiori per quella relazione di stenti con molta pazienza nell’assolvere alle faccende di casa, anche se rimprovera continuamente a Peppino la sua neghittosità e la sua incapacità d’elevare il loro tenore esistenziale. Tuttavia il marito s’accontenta di simbolici riconoscimenti come quello di capocantiere e non gli importa che questo non comporti un aumento della sua paga, per cui la consorte lo tratta male e gli rimprovera la sua dabbenaggine puerile. Non riescono a comprarsi una casa, ad avere una macchina nuova ed a concedersi una crociera, tanto agognata da lei. Per di più lui ha il fratello Piero mentalmente confuso e nullafacente che la domenica va a fare il guardiamacchine o posteggiatore davanti allo stadio “ San Paolo” oggi denominato “Maradona” in onore del “Pibe de oro”, mentre per il resto della settimana vive d’espedienti precari che non lo tutelano ed assicurano il minimo sufficiente per l’autosostentamento, per cui va continuamente a chiedere un aiuto al consanguineo bevendosi così una volta 80 gocce di Novalgina che Peppino assume per i suoi frequenti mal di testa. Inoltre Antonietta litiga frequentemente con la sorella Rosaria su chi debba assistere la vecchia madre, a cui i due fratelli mettono paura con un brutto scherzo e ciò esaspera ancor più Antonietta, che è anche gelosa dell’invadente, egoista, opportunista e sciantosa , Adelina che va a a domandare vivande stando peggio di lei con superficiale leggerezza ed indifferenza, come se tutto le fosse dovuto, non esimendosi nemmeno dal circuirle il marito con un comportamento provocante e sbarazzino. Tutto questo irretisce neurologicamente ancora di più l’anima gemella di Giuseppe che minaccia di rompere il matrimonio e farsi giustizia da sè se lui mangerà il polpettone portato dalla loro vicina al posto delle polpette, che secondo Giuseppe mancano di carne e questo per il suo modesto introito da operaio. Le magioni del palazzo dei bassi napoletani sono rappresentate da cabine di legno sullo sfondo del palcoscenico piuttosto ristrette quale simbolo delle loro condizioni sociali, però dove il lavoro raggiunge il suo pathos e vertice emotivo è nella seconda parte della commedia che da un tocco di dolcezza e rinnovato amore coniugale passa velocemente al dramma. Peppino, che s’era dimenticato il giorno prima di fare gli auguri alla moglie per l’anniversario del loro matrimonio, le regala un quadro con una nave che è il simbolo della possibilità finalmente di poter realizzare la sospirata vacanza, ma quando il diavolo e la mala sorte si mettono di mezzo anche le migliori intenzioni vanno per aria e quello che pareva un ritrovato orizzonte felice di coppia tornata alle carezze ed i baci dei primi tempi va per aria. Peppino si sottopone a degli accertamenti clinici e scopre dunque di essere afflitto da una blestosi, che è il tumore dell’amianto contratto sul lavoro e per cui deve sottoporsi alla chemioterapia, che lo priva logicamente dei capelli e per cui fa causa alla ditta navale. Come si sa, in codeste situazioni è la vittima che deve provare con le lastre il danno subito e Giuseppe con la sua famiglia è fiducioso di riuscirci e l’ingenuo fratello Piero, avendo la sentenza in mano, grida vittoria e s’appresta a festeggiare con i congiunti la fine dei loro problemi economici, invece la moglie Antonietta, che ne ha dovute incassare parecchie metaforicamente di botte dalla vita, sta con i nervi tesi e non crede a tanta grazia che improvvisamente si sarebbe ricordata di loro. Infatti, finendo di leggere il dispositivo del Tribunale del lavoro, capisce che hanno perso ancora una volta in quanto il buon Peppino non ha avuto l’intelligenza di dotarsi delle giuste misure di precauzione sul cantiere. Era l’ultimo guaio che mancava alla disperata e sventurata povera famiglia, che non solo non avrà risolto il suo dissesto finanziario , ma perderà pure il capofamiglia. Per fortuna Antonio Romano l’ha potuta raccontare con stile sobrio e distaccato, piangendo quando il regista Antonio Grosso gli ha rammentato il passato, mentre Antonello Pascale è la controfigura di tanti infingardi disoccupati partenopei. Le due gelose e pettegole rivali del focolare domestico, tipiche rappresentanti delle massaie dei quartieri spagnoli, sono Carlotta Ballarini e Maria Scorza, che ci rimandano il tenore delle quisquilie familiari e l’intreccio delle vite oggetto di chiacchiericcio del rione. Una brillante commedia che rispecchia le problematiche della cellula primaria della società e l’insopprimibile piaga delle morti bianche sul lavoro e di come spesso si debba scegliere per forza tra salute e stipendio, come i casi di Taranto, Terni e Casale Monferrato insegnano. Lo spettacolo sarà replicato fino al 19 Dicembre al teatro dei Servi.
Giancarlo Lungarini