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FESTIVAL DI BERLINO: CARLA SIMON E PAOLO TAVIANI TORNANO ALLA BERLINALE

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BERLINO, 15 FEB – La catalana Carla Simón torna al Festival per la seconda volta qui a Berlino. La prima volta l’ha consacrata in tutto il mondo nel 2018 come la miglior regista esordiente con il film “Estate 1993”, presentando uno dei migliori candidati ai premi finali, “Alcarrás”. Il film racconta la storia attualissima di una famiglia di contadini, che vengono espulsi dalle loro piantagioni di pesche per far posto ad una multinazionale che costruisce pannelli solari, le cui prestazioni economiche sono di gran lunga superiori a quella della resa del raccolto.

Alcarrás è un film corale: nonni, genitori, zii, cognati, figli, nipoti (che giocano senza essere consapevoli di quello che sta succedendo intorno). La storia dura due ore e racconta la vita di campagna attraverso le giornate di ognuna di queste persone. Lavorano, si divertono, mangiano i frutti dei loro sforzi, litigano, fanno pace, e con eleganza la regista riesce ad approfondire con sguardo poetico l’anima di ogni personaggio. 

 Simón, è autrice della sceneggiatura, in collaborazione con Arnau Vilaró, e non spreca non un solo momento del film per informare il pubblico da dove viene il nostro cibo, descrivendo non solo la luce ma anche l’ombra, quando accenna di sfuggita allo sfruttamento degli immigrati.

La regista si distingue ancora una volta per la direzione degli attori non professionisti, estraendo da ciascuno di essi interpretazioni credibili al punto da far immedesimare il pubblico.

La giornata si è conclusa con il tanto atteso ritorno al cinema dell’italiano Paolo Taviani, a cinque anni dal suo ultimo film, “Una questione privata” e dieci dell’Orso d’Oro, vinto proprio qui a Berlino per “Cesare deve morire”. “Leonora addio” è il primo impegno alla regia solitaria di Paolo Taviani, dopo una carriera congiunta di oltre 60 anni con il fratello Vittorio più anziano, morto nel 2018 e a cui il film è dedicato.

Il film a detta del regista è sperimentale ed è diviso in due parti: il primo racconto in bianco e nero narra della macabra storia delle ceneri del premio Nobel di Letteratura 1934 Luigi Pirandello, che ha impiegato 15 anni per viaggiare da Roma alla sua originaria Sicilia, e la seconda, a colori, si ispira all’ultimo racconto dello scrittore, “Il chiodo”, su un fatto realmente accaduto a New York quando un adolescente immigrato italiano uccide senza motivo una ragazza dai capelli rossi, una certa Betty. 

Ma mentre la prima parte, con il suo maestoso bianco e nero, ha la monumentalità del cinema classico, il secondo, che è una parabola su un’inesauribile espiazione, soffre apparentemente per chi non conosce il racconto di Pirandello, di una mancanza di drammaturgia che mina la qualità cinematografica. Per chi invece lo conosce, avrà modo di capire che le intenzioni del regista sono le stesse che ha spinto il drammaturgo a scrivere questo ultimo racconto prima di morire. 

Antonio M. Castaldo 

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