Da bambino insieme ai fratelli cominciò a comprendere la ragione della sua vita: lo show.
Show di sé stesso realizzando show per il mondo.
Tutto un grande show.
Infanzia travagliata, fino a quando e chissà quanto, avvenne comunque: fu portento.
Del padre si liberò, e dei fratelli si liberò, e del suo colore naturale di pelle si liberò e di libertà si liberò perché chi ha dentro certe catene, pur levandosele di dosso, ha sempre la sensazione di doverlo ancora fare.
Mega super extra stra star fantasticamente iper mondiale, grazie alle canzoni orecchiabili, ai videoclip più costosi del tempo e a quei passi di danza tutti suoi, a quel modo di muoversi riconoscibile a tal punto da divenire autentico metro di paragone per tutti gli altri artisti, nonché modello da imitare per bambini come per adulti ad una festa di Carnevale.
Troppo tutto diventò.
Una vita finita presto eternamente oscillante tra la grandezza del più grande della storia dello showbiz e la tetra oscurità di chi non è mai riuscito ad accendere riflettori altrettanto illuminanti dentro di sé.
È quasi una artistica routine.
L’ acme della espressione umana in campo artistico non la si raggiunge quasi mai se non perennemente accompagnati da una faccia dell’esistenza che ha poco a che fare con la serenità dello spirito e, invece, è molto invischiata con la parte più sotterranea e torbida dell’ animo creativo.
Le eccezioni sono ben accette ma, almeno in questo caso, Michael Jackson non è stato originale.
Danzava come se camminasse con un altro paradigma di passi.
Una voce mai cresciuta come te l’aspetti da un angelo impalpabile un po’ uomo e un po’ bambino.
Fine tragica di vita complessa, spirito mai davvero disancorato da freni non voluti.
La sua esistenza non fu fluida come la sua energia su quel palco.
Fu arte di fine secolo per spettatori di un mondo più disincantato, ecco per chi MJ ha danzato, illuminato e cantato.
ROViRO’