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“La Favorita” di Donizetti a Piacenza

Data:

Recita del 20 febbraio al Teatro Municipale di Piacenza

Al Teatro Municipale di Piacenza è tornata in scena, dopo le produzioni del 1941/42 e del 1981/1982, La Favorita di Gaetano Donizetti nella versione ritmica italiana di Francesco Jannetti. L’opera, nata per l’Académie Royale de Musique di Parigi nel 1840, appartiene al genere Grand Opéra, pur non attenendosi rigidamente ai tipici stilemi del genere.  Del grand-opéra conserva la libertà formale di schemi plurimi in cui è scandita l’intera partitura del maestro bergamasco; l’opera, Inoltre, pur mantenendo una cornice storica precisa, coerentemente con il gusto post tragédie lyrique, è caratterizzata da narrazione di carattere privato. Un dramma intimo che svela vicende umane e sentimentali di Leonora de Guzman, di Fernando, giovane novizio del convento di Santiago de Compostela, e del Re di Castiglia Alfonso XI: il cui vero elemento tragico è però l’impenetrabilità emotiva e la negata libertà comunicativa cui sono obbligati, dal loro ruolo, i personaggi. È questa attenzione alla complessità psicologica che guida Andrea Cigni, regista della produzione, e Dario Gessati, scenografo, verso una lettura autoptica dei personaggi. Ecco, allora, che l’Alcazar di Alfonso o il Chiostro del Santuario di Compostela diventano un freddo gabinetto anatomico dove sfilano, sotto gli occhi di candidi e asettici scienziati, le storie dei protagonisti. L’intuizione registica del teatro anatomico, seppur con buone premesse teoriche, pare in vero debole nella realizzazione. La semplicità dei mezzi, anziché favorire la creatività con soluzioni alternative e di maggiore gusto, ha mostrato la nudità del pensiero registico di Cigni e della messa in scena di Gessati. La fragilità interpretativa, tuttavia, non si è limitata alla regia, riversandosi in modo equo e generoso su tutti gli aspetti teatrali e musicali dello spettacolo. La direzione di Matteo Beltrami non ha valorizzato il ricamo lirico, la morbidezza e l’accento drammatico della partitura, mancando di ponderazione tra le tinte favorendo più il volume e la massa del suono. Non meno grave, da parte di Beltrami, è stata la mancanza di una ricerca di connessione tra le dinamiche del canto e quelle orchestrali, costellate da “attacchi” sbagliati, sia per il coro sia per i cantanti. Celso Albelo, nei panni dell’innamorato Fernando, presenta una voce usurata, priva di squillo e fortemente nasaleggiante; il fraseggio risulta approssimativo, trascurando ogni finezza richiesta da Donizetti e gli acuti, spinti e prepotenti, sono tali solo in funzione dell’applauso. Anna Maria Chiuri è Leonora, la Favorita. Il mezzosoprano trentino dimostra tutte le difficoltà della tessitura cui è sottoposta la sua voce. Non entra mai, né vocalmente né interpretativamente nelle corde, rendendo il ruolo solo in maniera superficiale; il timbro morbido dei centri subito si guasta a partire dalle note cosiddette di passaggio. L’Alfonso XI di Simone Piazzola manca della regalità richiesta dal personaggio. L’approssimazione, tendente alla monotonia cromatica e timbrica, si accompagna a una pasta vocale priva di armonici e ad una tendenza nel caricare anziché a porgere il canto. Simon Lim, nei panni del vecchio Baldassare, offre al personaggio un timbro solido e profondo ma, nel prosieguo della recita, ci si accorge che resta solo il volume, mentre la solidità interpretativa vacilla.  Il Don Gasparo di Andrea Galli, causa una voce piccola e non proiettata, è poco udibile. Meglio l’Ines di Renata Campanella. Il Coro, in linea con l’approssimazione generale, gioca sulle tinte forti senza porgere cura a un canto variegato e dinamico. Il pubblico, passato l’iniziale coinvolgimento, segue con cortese attenzione riscaldata da applausi nei momenti topici, per gli acuti stentorei dei cantanti che richiamano anche l’orecchio più distratto. Chi ne esce vincitore, alla fine, è la partitura donizettiana che ha mostrato – anche in condizioni esecutive non ottimali – il suo pregnante valore.

Luca Loglio

Foto Cravedi

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