Io, Moby Dick di Corrado D’Elia, un piccolo libro da tenere sul comodino

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Infatti potremmo definirlo un ‘breviario’, un testo da tenere sul comodino per leggerlo e rileggerlo aprendo le pagine a caso quando ci sentiamo sfiduciati, critici verso noi stessi e il nostro passato che ci appare spesso come un corollario di sconfitte ma anche un testo che, al contempo, ci incoraggia a non aver più “paura della paura” e ad affrontare il futuro o quel che ne resta senza più tentennamenti e timori.

E dunque in Io, Moby Dick, da “Moby Dick o la balena” celeberrimo romanzo di H. Melville, Corrado D’Elia, illustre Uomo di Teatro, ci racconta poeticamente la storia del cacciatore di balene, il capitano Achab, che osa sfidare Moby Dick, l’imprendibile e mostruosa balena bianca, ben sapendo che sarà una follia: “Mi credono pazzo ma io sono solo un irrequieto, un ossessionato, la pazzia che resta calma per comprendere meglio la pazzia”. E così il nostro capitano, affiancato dal mite e ragionevole nostromo Starbuck, al comando di una ciurma raccogliticcia e del suo malridotto veliero Pecquod, affronta l’impresa estrema con persone e mezzi inadeguati ma tuttavia gli unici a sua disposizione.

Suddiviso in ventuno capitoli lirici, il libro procede agilmente attraversando i flutti, se così possiamo dire, di una navigazione tempestosa e non solo per le condizioni del mare. Vediamo in crescendo che l’irriducibile capitano Achab è sempre più ossessionato dal desiderio di uccidere l’ astutissima balena, il che, in La Rachele, lo rende spietato verso gli altri esseri umani allorché nega al comandante della nave l’aiuto per ricercare il figlio disperso in mare ma anche verso se stesso quando, in Stupido Achab, confessa la sua colpa per aver abbandonato, dopo una sola notte, la ‘moglie bambina’ e rimpiange di essersi condannato volontariamente e per sempre alla solitudine.

La sfida si consumerà in tre giorni quando, il terzo giorno, l’arpione lanciato da Achab in bilico su una lancia colpirà a morte la balena ma si avvolgerà anche intorno al suo collo trascinandoli uniti negli abissi e infine realizzando le parole di La profezia: “Io sono la balena ormai, capite? Il leviatano è dentro di me, Achab e Moby Dick, Moby Dick e Achab per sempre insieme in eterno!”.

La domanda che scaturisce immediata dalla lettura di Io, Moby Dick è: Achab aspira davvero ad uccidere la balena bianca oppure a farsi ‘uno’ in lei, sia pur nella morte? Achab e Moby Dick possono metaforicamente identificarsi nel suo autore, in Corrado D’Elia, appassionatosi al Teatro fin da bambino? Una domanda che di rimando interroga tutti noi se pensiamo alle nostre passioni e a ciò che facciamo o abbiamo fatto, affrontando i relativi rischi, per realizzarle.

Sappiamo che il libro di H. Melville è stato ed è tuttora oggetto delle più diverse speculazioni e interpretazioni sia teatrali che filosofiche o religiose ma la peculiarità del nostro libro sta nella sua immediatezza metaforica nel senso della sua capacità di riverberarsi nel nostro vissuto senza mediazioni, attuando così, sulla pagina scritta, la stessa funzione di ricerca della verità che, fin dalla notte dei tempi, è scopo e funzione del Teatro.

Io, Moby Dick, è dunque un libro da non deporre negli scaffali della nostra libreria bensì da tenere a portata di mano, sul nostro comodino.

Ombretta De Biase

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