Ammaliante The Tempest alla Scala 

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Al Teatro alla Scala, recita dell’8 novembre

“Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui son fatti i sogni”: il verso più bello de La tempesta di William Shakespeare. Ritenuta la sua penultima opera, che segnò anche il suo addio alle scene come attore.  Uno dei testi più complessi ed enigmatici della produzione shakespeariana: quell’isola magica è il teatro come luogo dell’illusione, e dell’illusione come teatro. La commedia è incentrata su Prospero, mago e negromante che, con magica arte tesse trame in cui costringe gli altri personaggi a muoversi. Spodestato del Ducato di Milano dal fratello, finisce con la figlia Miranda su un’isola deserta, abitata dal mostro Calibano e da Ariel, spirito dell’aria che ha piegato al suo servizio. La vicenda è narrata in retrospettiva perché tutto è già accaduto. In un gioco di specchi s’intravede lo stesso drammaturgo, la sua filosofia di vita e del teatro: la vendetta e il perdono, la morte e la rinascita, le colpe dei padri espiate dai figli, la schiavitù e la ricerca della libertà. Naufragi si susseguono e collateralmente nasce una relazione amorosa tra Ferdinand e Miranda: il loro matrimonio sarà la riconciliazione di Prospero e del fratello Antonio che l’ha spodestato. Tutti i personaggi dell’opera si ritroveranno alla fine nella grotta di Prospero, che nel famoso monologo finale rinuncia alla magia per contare sulle sole forze umane. La Tempesta è un labirinto, inutile cercare di uscirne: stare ad ascoltare le domande che il testo pone e restarci dentro, è l’unica via di comprensione. Un testo indissolubilmente legato alla città di Milano, non solo per i continui riferimenti e citazioni, ma quel memorabile spettacolo strehleriano che ancora aleggia e nella memoria dei tanti spettatori che ne furono stregati. Thomas Adès creò The Tempest nel 2003, ispirandosi al testo drammatico shakespeariano; la musica composta irretisce lo spettatore da opposte prospettive: dall’aggressività sonora di stridenti disarmonie iniziali si trapassa a intensi slarghi e lirismi propri legati a forme chiuse, imparentate a convenzioni operistiche classiche.

Adès si serve così di una gamma espressiva molto diversificata, per aderire alla varietà dei personaggi e alle differenti situazioni drammaturgiche offerte dal libretto. Libretto dell’australiana Meredith Oakes, che di concerto con il compositore, sceglie di non farne una trasposizione letterale, deviando nella caratterizzazione dei personaggi principali: Prospero non è più quel campione di lungimiranza e saggezza (che in Tino Carraro esplicitava perfettamente il mago), ma è alle prese, come ogni umano (ancor più ai nostri tempi) con la fatica del perdono. E la tragica constatazione di un reale cambiamento, anche solo di facciata, dei perdonati colpevoli là dove dice: They’re the same… malevolent as before. Resta poi la cinica ineluttabilità del male, esemplificata dalla lucida esternazione finale di Antonio. The Tempest approda in prima nazionale sul palcoscenico milanese in una coproduzione tra la Scala, Wiener Staatsoper, The Metropolitan Opera, L’Opéra de Québec, in collaborazione con Ex Machina, a cura del regista Robert Lepage ripreso da Gregory A. Fortner, scene di Jasmine Catudal e costumi di Kym Barrett. Spettacolo coinvolgente, che rende ampio omaggio a Milano in uno dei suoi simboli più prestigiosi, la Scala, mostrando la sala del Piermarini da varie angolazioni, coinvolgendo il Palco reale, in cui si snodano i preamboli della vicenda. Molti i momenti efficaci: dai magici trucchi scenici per far volare a mezz’aria Ariel sopra le luci della ribalta, all’impatto dell’ingresso della Corte, al secondo atto, a gambero, e nei fluttuanti movimenti ondeggianti, scossa dai venti. Qualche ingenuità nel duetto Ferdinand –Miranda e le ridicole coreografie di Crystal Pite, pur dando merito ai ballerini di grande agilità e acrobatismo. Meno coinvolgente l’inizio atto terzo, per tornar subito alla fascinazione con lo spaccato di palchi e platea in prospettiva laterale e ombre cinesi. Il regista si focalizza sul protagonista Prospero. Leigh Melrose ha voce di non ampio volume ma usata con intelligenza: scava le parole con forza e attira l’attenzione con una forte presenza scenica. Capace di sfumare, sfoggia un fraseggio ricco di colori: e tenero e pur malinconico al ricordo del glorioso passato, dolorosamente risentito per i torti subiti diviene toccante nella considerazione delle pene inflitte ai colpevoli – che pur non l’hanno sollevato – arrivando a considerazioni di pietà in If you who are air… Struggente il Farewell allo spiritello, che solo gli era rimasto accanto. Antonio di Robert Murray sfrutta a fini espressivi una voce non fermissima e un po’ ingolata, a delineare l’instabilità del tormentato personaggio che giunge al climax nel lucido The will of Haven have decreed your advantage blocks my breath….bravissimo nel rendere lo spasimo dell’anima in eterno dissidio e schiacciata dal fato. Ariel era Audrey Luna, che fa di necessità virtù, sostituita in scena da un’acrobata. Sicura nell’impervia e acutissima tessitura, trova momenti di poetiche mezzevoci e flautati e aerei nella canzone a Ferdinand, puri suoni d’incantazione. Ferdinand aveva la voce di tenore chiaro di Josh Lovell, esteso in acuto e dalla morbida linea di canto; in scena è un tenero innamorato, dal candido stupore. A Sebastian prestava voce robusta Paul Grant. Caliban, l’efficace Frédéric Antoun con scaglie di mostro, cui il compositore pur regala magia nei suoi momenti ariosi, sospesi, in una tessitura che richiede acuti in pieno falsetto. Le conclusioni le tira lui: Un sogno, tutto svanisce…have they disappeared? I was dreaming…Gonzalo di Sorin Colban è la perfetta incarnazione del saggio, con accenti convincenti salvo spingere alla fine, con qualche accento tronfio di troppo. King of Naples, Alonso era Toby Spence che si segnala per il patetismo degli accenti, dolente, sempre molto espressivo, sicuro in acuto, toccante nell’Oh, let him go… sostenuto con un filo di voce, unico personaggio ad aver subito un cambiamento interiore. Miranda aveva il rotondo e caldo timbro di Isabel Leonard. Trinculo dal sonoro Owen Willetts controtenore di voce ben proiettata e dalla gustosa mimica, come lo Stefano di Kevin Burdette che con lui fa coppia, e pur gonfia i suoni gravi. Sferzante prestazione dell’Orchestra del Teatro alla Scala, attenta e precisa nel seguire le intenzioni impresse dal compositore Thomas Adès alla sua partitura. Eccellente la prestazione del Coro scaligero diretto da Alberto Malazzi. Calorosa accoglienza finale per tutta la compagnia che si è lodevolmente spesa nella piena riuscita della rappresentazione. 

gF. Previtali Rosti

Foto Brescia e Amisano

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