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Giuseppe Scaglione ci introduce nel romanzo di Maria Teresa Infante La Marca “La Sconosciuta”

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A un’ora dal destino

La sconosciuta (Genesi Editrice, 2022) di Maria Teresa Infante La Marca è un’opera letteraria molto più complessa di un romanzo, tanto più complessa quanto più procede in una esplorazione senza cautele dentro due dei topoi più ricorrenti nella storia dell’arte, della letteratura, della musica, del pensiero. Il primo è “gli amanti”, il secondo è “il destino”. Così complessa che l’autrice, consapevole, ha avvertito la necessità di scrivere in apertura di libro non soltanto una Introduzione ma anche una Premessa. Un tentativo, forse, di definire un preciso perimetro dentro cui racchiudere una tematica esistenziale di tale vastità e così tanto percorsa. Un tentativo che al termine della lettura si può dire senz’altro riuscito: su questi temi è uno dei libri più originali e interessanti tra quelli apparsi negli ultimi anni.

I personaggi sono Lei e Lui; Lui è l’amante senza nome, irredento fino alla conclusione del libro dal proprio vincolo esistenziale, ovvero quello di sembrare un profilo umano scialbo quando non addirittura meschino. Ma l’autrice si domanda, e ci domanda, Lui è davvero così come appare? Il libro non dà risposte, oppure paradossalmente ne dà molte, come accade per tutti gli altri interrogativi che pone ed è già questo un motivo di forte fascinazione. Lei è un capolavoro di tratteggio psicologico: al tempo stesso è La sconosciuta ma è anche Amanda. “Nomen omen”, “il nome è destino” ed è appunto il Destino il terzo personaggio del libro, il più importante, il protagonista. E l’amore? In fondo, non è forse la storia di due amanti? Non è anch’esso un elemento chiave? In realtà, sebbene a chiusura del testo l’autrice proponga due citazioni che richiamano entrambe il postulato classico l’amore è eterno solo se è impossibile, nel libro l’Amore sembra essere presentato più che altro come uno dei tanti volti con i quali si manifesta a noi il Destino. Come lo è la morte, l’unico suo volto che per tutti è ineluttabile conoscere. Tuttavia, l’autrice fa di questo “amore – volto del destino” uno splendido racconto visionario e carnale, sofferto, esaltante, palpitante, allucinato. Il significato in senso più ampio del Destino, che aleggia in tutta l’opera, richiama invece il concetto omerico di moira, μείρομαι, la parte di un tutto universale che spetta a ciascuno e che, personificata, diviene la divinità del fato o della morte. Infante prospetta il Destino aprendo se stessa e il lettore a una dicotomia interpretativa che da un lato fa riferimento a un insieme di inevitabili e incontrollabili eventi, che si verificano seguendo una concatenazione temporale soggetta alla casualità, dall’altro a un insieme di vicissitudini facilmente individuabili e razionalmente prevedibili. Ne sortisce il narrato di una serie casuale e ininterrotta di ricordi, sensazioni, percezioni e desideri cui nessuno, né i personaggi né tantomeno l’autrice, pone ordine, lasciando che una unheimlich freudiana, un senso perturbante di straniamento, di alterità a se stessa, disegni magistralmente il profilo di Lei, dentro il quale Amanda e La sconosciuta si confrontano.

La struttura formale del testo è quella della narrazione duale. Ciascuna frazione (sarebbe improprio parlare di veri e propri capitoli, e questa sembra essere una precisa e appropriata scelta dell’autrice) è riferita alternativamente a Lui o a Lei ed è sormontata sempre dallo stesso titolo: A un’ora dal destino. Tranne l’ultima, che diventa A un’ora dal loro destino. Già nelle prime pagine si stabilisce un costrutto emotivo che a una lettura non molto profonda potrebbe evocare paradigmi romantici. Non è così, va molto oltre, è molto più contemporaneo. Visioni sensuali richiamano l’arte di Vettriano: lo sguardo della Infante è calamitato verso narrazioni segrete, atmosfere dove l’eros si palpa in tutta la sua elegante ambiguità; i due amanti sono illuminati da una luce obliqua, opalescente e indefinibile, e offrono al lettore squarci della propria esistenza. Oppure, per esempio, immagini di una figura maschile e di una femminile stilizzate nei cappotti dentro lo scenario impassibile di una stazione sembrano essere una eco dei quadri di Hopper, il pittore della solitudine esistenziale: baci che sigillano distacchi, che esprimono la fugacità di incontri passionali in città grigie e indifferenti in un succedersi di intimità e di commiati, mentre la vita si sublima in un senso di solitudine straniante.

La scrittura è il vero, grande tratto distintivo del libro, risolvendosi in una perfetta ibridazione in cui convergono canoni stilistici della prosa e della poesia. Punte di lirismo si avvicendano al prosimetro con pochi, sorvegliati passaggi di sola prosa. L’andamento descrittivo di base è improntato alla paratassi, è un succedersi di azioni dentro le quali, però, si sviluppa – come se fosse l’intreccio di un tessuto – una espressività travolgente molto simile al flusso di coscienza, in una formulazione di tecnica narrativa non facile che, se per un verso denota l’accoglimento delle lezioni di Maestri come James Joyce e Virginia Woolf, per altro verso se ne discosta in modo originale sottomettendo il monologo interiore agli enunciati della voce narrante e recuperando l’uso dei segni d’interpunzione in una struttura sintattica priva di forzature. Dunque una scrittura molto originale, colta ed elegante ma anche drammatica, visionaria, onirica. La formulazione espressiva, cioè, coerente e funzionale a un’opera letteraria il cui principale intento, ma anche merito, è quello di indurre alla riflessione senza fare sconti, senza cedere a tentazioni consolatorie, offrendo piuttosto una analisi cruda, non edulcorata, del rapporto che intercorre tra l’individuo contemporaneo e i propri stessi sentimenti.

Giuseppe Scaglione

Postato il 17 aprile 2023 in correlazioniblog (Pagine di cultura)
https://correlazioniblog.wordpress.com/2023/04/17/a-unora-dal-destino/?fbclid=IwAR0eFScpXmO8A0_L2gSAB6mgHiq7XBjoEafB8BKS3-gjCgAGdYqZzYUfNdM

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