Guardiani della Galassia – Volume 3

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Chi vi scrive non è un amante del Marvel Cinematic Universe e di tutto il roboante, remunerativo e artefatto spettacolo che ha offerto al suo pubblico, ma soprattutto ai suoi fan, ai suoi ultras e al suo tifo, in queste ultime decadi cinematografiche. I motivi per cui non amo i film concepiti e prodotti dalla Marvel sono molteplici, ma si possono sintetizzare in un’idea di Cinema di intrattenimento ad alto budget che invece di raccontare storie, organizzare trame, costruire personaggi a tutto tondo, ha sempre preferito buttarla in caciara non preoccupandosi dei tanti buchi di sceneggiatura, delle tante inesattezze, delle inverosimiglianze e dell’inconsistenza del racconto, puntando sul colpire la retina dello spettatore bombardandolo di effetti speciali e di fatto spegnendone il cervello; ha scelto di (non) parlare con lo spettatore, sempre più preferibile imbambolato e inibito, incapace di costruirsi un pensiero critico, di porsi con un atteggiamento attivo durante la visione.
Guardiani della Galassia – Volume 3, per fortuna e grazie a Dio, va in un senso ostinatamente contrario, ed è per questo che si smarca miracolosamente come un raro e prezioso esempio di cosa significhi scrivere e fare Cinema: lungi da me voler banalmente generalizzare, ma ribadire, questo sì, un’essenzialità e una fondatezza con questa affermazione. Lo fa proprio cercando un dialogo con lo spettatore, fidandosi di lui e della sua intelligenza, della sua sensibilità, del suo desiderio di evadere e staccare dai freni della vita di tutti i giorni, grazie ad un intrattenimento consapevole, coerente, coeso e creativo.
James Gunn sa come si fa. Prima di tutto, ponendo una maggiore attenzione ai personaggi che hanno bisogno di essere persone e non pupazzetti senza un’anima bidimensionali: devono avere una loro storia personale, un loro carattere, una loro psicologia che si impastino a quello che viene raccontato e che non forzino la narrazione o che non ne siano dipendenti. Il protagonista di questo Volume 3 è uno dei personaggi da sempre più interessanti della squadra dei Guardiani: il procione Rocket. Il film alterna al presente, flashback del suo passato, di come è nato, di come da animale sia diventato un essere senziente e anche dotato di un cervello al di sopra della media: un trascorso doloroso fatto di amore e perdita, di amicizia sincera e traumi profondi, segnato da violenze fisiche e psicologiche. In questi flashback Gunn mostra una mano sensibile e un tatto sincero: così all’azione ritmata, provocante, frenetica, alterna scene dal forte valore sentimentale; sfuma la sua opera con tocchi di delicatezza e tenerezza, sporca la vivacità cromatica della storia principale con sequenze più cupe di taglio espressionista, chiaroscuri dove la spensieratezza è sempre toccata da presagi di morte e di fine, dove il cielo, alla fine, non è che un semplice soffitto di una squallida prigione.

La famiglia dei guardiani è fatta di anime diverse con caratteri peculiari e distanti, che convergono nel medesimo obiettivo, quello di salvare Rocket, appunto, in fin di vita: la loro alchimia, giostrata con equilibrio, mi ha ricordato tante soluzioni felici del primo Avengers. Si allontanano, si ritrovano, litigano, si abbracciano. Dall’altro lato del ring, un villain di spessore, che alza il livello e porta gli eroi a fare sul serio. Come sempre accade in ogni narrazione di questo genere. Il villain è tutto.
L’Alto Evoluzionario è un personaggio deluso, attraversato da tanta umanità: un Dio fragile, passionale, folle. Ha cercato in modo ossessivo per tutta la vita di creare la specie perfetta, senza tenere minima considerazione del mezzo, ma solo del fine da raggiungere, lasciando dietro sé, quindi, dolore e sangue. E così l’opera beneficia dello scontro tra forze del Bene e quelle del Male, quando lo rendi potente da un punto di vista visivo, tragico nei suoi contenuti, epico nel suo complesso.
Le scene d’azione sono ben coreografate, nonostante a volte James Gunn sia eccessivo, e in momenti che avrebbe richiesto posatezza e sguardo fermo, lui continuava a muovere la macchina da presa come uno scalmanato, con steadycam circolari, inquadrature dall’alto in picchiata; alcuni nodi di trama si sentono, ne conseguono forzature gratuite per cercare di liberarli. Ci sono alcune scelte di scenografia poco felici, che iconograficamente non convincono appieno, perché un po’ posticce nel richiamare un certo tipo di cinema e serialità televisiva anni ‘80 che stona nella composizione generale, artistica e più squisitamente estetica dell’opera.
Ma teniamocelo stretto questo Guardiani della Galassia – Volume 3. Non indicherà di certo la strada al MCU, ma un bel disegno originale in una risma di fotocopie è l’eccezione che sorprende, fa sospirare, riattiva la memoria e ti ricorda che qualcosa di bello esiste ed è possibile anche nell’operazione più mercenaria.

Simone Santi Amantini

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