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“Umbria Jazz” compie 50 anni e si regala Bob Dylan

Data:

Umbria Jazz Festival, Perugia, Arena Santa Giuliana. Venerdì 7 luglio 2023

Ad aprire le danze sul palco dell’Arena Santa Giuliana per questa speciale edizione dei cinquant’anni di “Umbria Jazz” è stato invitato il grande Bob Dylan – 82 anni portati con stile -, icona vivente della musica leggera, padre del folk rock e premio Nobel per la letteratura nel 2016. L’artista, che si era già esibito a Perugia nel 2001, è tornato dopo più di vent’anni per proporre i brani di Rough and Rowdy Ways, il disco pubblicato nel giugno del 2020, cioè in piena pandemia, e a causa di ciò penalizzato sul versante live: il tour relativo, infatti, è potuto partire solo a novembre dell’anno successivo, sia pure tra mille difficoltà, ed è tuttora in corso.

In linea con quanto già visto e ascoltato nelle due esibizioni milanesi (al Teatro degli Arcimboldi) di pochi giorni fa, anche la serata perugina si è confermata senz’altro un evento importante, ma non certo una festa: allestimento minimale (luci tenui e fisse sul palco, con una semplice tenda rossa da teatro come sfondo, e maxischermi spenti), atmosfera severa e distaccata (Dylan sempre in penombra e defilato nelle retrovie dietro al suo pianoforte, nessuna interazione col pubblico, divieto assoluto di foto e riprese, con tanto di telefonini degli spettatori sigillati in apposite custodie all’ingresso e “liberati” solo all’uscita per volere dello stesso Dylan, convinto sostenitore dei concerti “Phone Free”), se non ostile (a ostacolare ulteriormente una visione già problematica per via della scarsa illuminazione e della posizione “nascosta” del protagonista sul palco, anche un paio di fastidiosi fari puntati occasionalmente contro il pubblico), repertorio senza alcuna concessione ai fan (zero classici in scaletta). Come un treno in corsa, una canzone dietro l’altra e via, niente pause o fronzoli, solo un paio di “GRAZIE MILLE” scanditi in italiano e la presentazione dei musicisti, prendere o lasciare. L’artista, dunque, per questo tour ha operato scelte radicali che denotano la sua volontà di sottrarsi polemicamente a ogni tentativo di celebrazione/mitizzazione retorica operato dal mondo dello spettacolo, proponendosi anzi come vero e proprio antipersonaggio. L’unico, timido gesto di apertura è arrivato nel finale quando, durante l’esecuzione di Every Grain of Sand, Dylan si è finalmente staccato dal piano, ha preso l’armonica – per la prima e unica volta nel corso della serata – e con un assolo ha “chiamato” a raccolta il pubblico, scatenando l’entusiasmo di buona parte dei cinquemila presenti, che non si sono fatti pregare e hanno risposto prontamente precipitandosi sotto il palco. Subito dopo, però, è arrivata la doccia fredda: fine dell’esibizione, e niente “bis”.

Il concerto, durato un’ora e tre quarti, ha mostrato un Dylan che, a dispetto dell’età, ha mantenuto un’accettabile forma vocale – più incline al parlato che al cantato – e una certa sicurezza interpretativa; di indiscutibile qualità anche la band. Detto ciò, l’esibizione, nella sua omogenea e monocorde mistura di folk, rock e blues, alla lunga è risultata un po’ faticosa da seguire; l’assenza dei brani più famosi (a farla da padrone sono stati i pezzi di Rough and Rowdy Ways) e il clima un po’ freddino non hanno certo contribuito a ravvivare una serata che ha comunque regalato spunti degni di nota (tra le esecuzioni, da citare almeno quella di Black Rider), anche se le emozioni sono state piuttosto trattenute. Molta professionalità ma poco pathos, insomma, per uno di quegli eventi da ricordare più per via degli artisti partecipanti (stiamo parlando pur sempre di Bob Dylan!) che per i contenuti.

Francesco Vignaroli

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