L’indovino Tiresia e la profetessa di Apollo a confronto in “La morte della Pizia”

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Furono la tragedia e la filosofia classica ellenica a confutare la superstizione religiosa dei connazionali di Omero, cantato dalla tradizione epica come il sommo autore dei due poemi epici concernenti la guerra di Troia ed il ritorno ad Itaca, che mettevano le loro sorti nelle mani degli dei dell’Olimpo con le due cime del Cirra e del Parnaso, cui fa riferimento metaforico pure Dante nella “Commedia” definita Divina da Boccaccio. Socrate fu accusato d’empietà e corruzione sostenendo che gli Dei non s’interessavano degli uomini e fu condannato al carcere da cui si rifiutò di fuggire come sappiamo dal suo discepolo Platone, mentre il  primo tragico del V secolo a.C.  di nome Eschilo con la leggendaria figura di Prometeo affermò che lui rubando il fuoco ed il vaso di Pandora ai Numi aveva responsabilizzato l’uomo per cui era stato punito con il rodimento continuo del fegato da parte dell’aquila legato perennemente ad una montagna. Su tale versante della ragione e libertà soggettiva si colloca pure il geniale scrittore  svizzero Fiedrich Durrenmatt esponendo nel testo “La morte della Pizia” tutto il suo sarcasmo ed ironico veleno incredulo ed ateo verso questa sacerdotessa oracolo di Apollo, dio della musica , medicina e matematica, a Delfi, rappresentandocela come ormai vecchia decadente con i capelli grigi che l’avvolgono ed appoggiata ad un bastone, con il servitore Meros che le fa da segretario, introduce gli ospiti e clienti, intanto sta dirigendo i lavori di costruzione d’un nuovo santuario apollineo sente il portico di Atene, di cui lei non avverte la necessità. Un altro colpo duro alla mitica narrazione della saga dei Labdacidi lo riserva Dunrrematt  alla didattica istruzione classica riguardante Edipo generato da Laio e Giocasta dopo il vaticinio di Cromile IV  che aveva detto agli sposi, pagata da Meneceo padre di Giocasta e Creonte successivo re di Tebe, che non avrebbero dovuto avere figli per consentire prima l’ascesa al trono del cognato. Dunque gli oracoli ed i vaticini, come la Pizia rintraccia nei vecchi libri, non erano genuini , ma prezzolati come tante cartomanti di oggi. Non avendo potuto resistere alla passione erotica dai due amanti era nato Edipo su cui l’autore s’ingegna ad inventare una serie di sottili diatribe e disquisizioni, relativizzandolo e  rarefacendolo con una dissolvenza dell’identità fisica specifica ed unicità con una ripartizione in 4 singoli individui dallo stesso nome e contestandone l’assicurata discendenza fino ad ora dalla studiata tradizione orale codificata da Sofocle, che lo riprese per la sua unione sessuale e quadrupla procreazione dalla madre di figli nonché fratelli e sorelle. Le varie ipotesi su chi fosse e da chi discendesse Edipo si sommano alla profezia classica della Pizia, che seduta sui vapori sulfurei la ricevette direttamente dalla divinità ma di cui ora si pente, mentre le appaiono in ordine progressivo i protagonisti dell’epopea di Tebe a partire da Giocasta che afferma che Edipo non era figlio di Laio bensì dell’auriga Mnesippo  per cui non avrebbe commesso il vaticinato patricidio, dopoché il pastore l’aveva abbandonato ad un crocicchio trafitto ad un piede ed in base alla lezione scolastica era stato ricevuto alla corte di Corinto da Polibo e Merope, che l’avevano affettuosamente amato come gli attuali genitori adottivi. Un altro Edipo lo tratteggia la seguente onirica configurazione della Sfinge, prima consorte di Laio, con la testa di donna, corpo di leone, ali di aquila e coda di serpente  che l’avrebbe  partorito  e che riferisce che Edipo era stato sbranato dalle sue leonesse. Dunque vi sono già tre spiegazioni dell’identità non sicuramente accertata di Edipo, che si manifesta secondo la maggiore attestazione letteraria ed è sfigurato in linea con la truce e barbara, sanguinosa, autopunizione  inflittasi con una fionda accecandosi e sfigurandosi le sembianze, privandosi delle orbite e con il sangue che cola fiotti, simbolizzato dalla testa marmorea sullo sfondo con la scia di rosso sangue che cola giù. Edipo ha una rancorosa rabbia contro gli dei per le sofferenze che gli avevano riservato con l’abbandono da parte di Giocasta, madre spietata negatrice del frutto delle sue viscere su cui sfogò violentemente il suo rancore insaziabile che produsse 4 coeredi, che  pagarono la loro maledizione divina per l’ immorale incesto  con lo scontro tra Eteocle e Polinice  per  la successione a Tebe e l’ucciso Polinice avrebbe poi spinto Antigone a combattere contro Creonte, che  aveva vietato la sua sepoltura nelle mura della contesa città, in nome del diritto naturale  opposto a quello positivo delle norme statali. Infine la decrepita e sconcertata Pizia, alla guisa del pubblico che ha la fresca memoria  degli studi classici nella sua cultura, si trova a dover fronteggiare il suo complice ed avversario Tiresia, con il caleidoscopio di personaggi incarnati con rapidi cambiamenti d’abiti ed espressione visiva, tonalità fonetica, da Patrizia La Fonte e Maurizio Palladino. Tiresia in elegante  completo bianco di classe con bastone e cappello,  vissuto per 7 generazioni accompagnato sempre da un bambino di 7 anni numero ambivalente come valore, si sente ormai vecchio e vicino pure lui alla fine. Egli chiarisce  il rapporto tra loro due quale concreto antagonismo : lui era la ragione e regolarità del cosmo, al contrario  della Pizia che in antitesi rappresentava la fantasia, la follia ed il disordine del mondo non regolato da leggi astronomiche  in cui confidavano anche gli Assiri. Gli uomini possono liberamente scegliere tra le due teorie e s’originano così da un lato gli utopisti ed idealisti, dall’altra i pessimisti e nichilisti. Con loro, che si congedano mano nella mano dalla scena, termina l’età antica, come indicato in apertura, ma l’ambiguità concettuale di fondo, su cui orientarsi per una precipua filosofia di vita, come ad un bivio stradale, sarà rivalutata da quel lungimirante pensatore che era F. Nietzche,  in cui vi sono le due linee guida dell’apollineo e dionisiaco. La scenografia del tempio di Delfi è stata progettata da Alessandro Chiti, curando la regia psicologica  del dramma e lo scavo a tutto tondo dei personaggi, con la loro realtà o trasfigurazione immaginaria con intensità di dialoghi e monologhi estenuanti con senso di liberazione da un macigno che li opprime , Giuseppe Marini. Il lavoro sarà programmato al Vittoria di Testaccio fino a domenica.

Giancarlo Lungarini

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