Michele Polchiero. Le liriche del partecipante al nostro premio

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Si pubblicano le poesie di Michele Pochiero, partecipante alla sesta edizione del Premio Pierluigi Galli.

 

Come pioggia

Come pioggia

Tuona dai monti al di là

delle misere colline

per una pioggia nata dal nulla.

Mistero d’acqua!

Si è bagnata la mia corteccia

e riflette, riflette il mistero.

Piove nel buco d’un tetto,

nella voragine piccola

buco nero della scienza.

Scienza dei maghi perdona

la purezza del pensiero,

le cose belle a vedersi

diventate strane, deformate;

tuona al di là dei pini lassù

con fragore, tra quel nucleo

di cellule solitarie e verdi.

Sole occulto torna a vivere

lo splendore della tua bellezza

luce bianca nella mia retina

che brucia al tuo ricordo.

E piangono le nuvole odore

di pioggia tra nenie di attimi.

Distese di alberi diversi

annullate dagli occhi,

canneti flessibili al vento

di un giorno nell’esilità delle canne.

Ed il mattino ingoiò il paesaggio

e gli occhi come due fessure lucenti

sono concentrati a ricreare

le canne rotte dei canneti.

Nell’insieme il corpo difende l’intorno!

È tutt’intorno una storia impossibile,

assurda, un amore non più tale;

si piange, si piange nel paese

di chi ricorda un paesaggio vero.

Piango anch’io se piange l’intorno

nel profumato ricordo di quell’amore,

guardando abbozzi di specchi

riflettere l’immagine fissa

d’un paesaggio nuovo che aiuta

a non morire, ad andare avanti.

E se ci fosse stato il sole

avrei passeggiato!

Questa sera ci sarà la luna piena

ed in campagna si sentirà

il canto dei grilli,

la luna sorgente illuminerà il cielo

le stelle illumineranno il cielo

insieme alla luna.

 

 

Canzone per l’uomo

Medita l’uomo lungo gli impervi sentieri

dei campi addormentati al mattino.

Il sole sta per vincere le nubi mattutine

ed il pensiero dell’uomo va

forse oltre la campagna deserta,

tra cui soltanto si muovono le rane

nei fossi ed i suoi passi

accompagnati da un’ombra falsa

che piano si dissolve.

E dove si posano i suoi passi

rimane il segno dell’uomo

tra l’erba ancora umida di rugiada,

tanto umida che se vi posi le tue mani

te ne impregni come quando asciughi

il volto intriso di lacrime di pianto.

L’uomo si addormenta sul prato dei sogni,

il suo stesso cuore sogna

di fronte a quell’immensità dolce,

e la sua ombra vestita

nel sogno come un padre

va quieta in quel firmamento lontano

ove sopporta la sofferenza

e le tristezze nell’amore:

l’amore per quel prato

di voci perdute, di desideri infuocati.

Il respiro dell’uomo è calmo nel sonno,

il corpo assopito è tutt’uno con la terra

ed un passero credendolo

parte del suo mondo

vi si posa a cinguettare incidendo

la dolce canzone per l’uomo.

L’uomo forse non aspetta più nulla,

attende che la sua ombra ritorni

ed allora sarà guarita la sua ferita

che nessuno può vedere, ma

che lo consuma a poco a poco

come la fiamma consuma la candela

posta a lottare contro l’oscurità

che si ostina a nascondere le cose.

Le cose di cui l’uomo ha bisogno

per sentirsi libero dalla notte nera,

libero in eterno da quell’ombra:

l’ombra di uno spirito morto da tempo

ed errante in quel prato di sogni.

Ma vivono le parole dell’uomo

che non vogliono essere un modo di vivere

ma una vita da vivere

o forse fanno anch’esse parte del sogno,

un sogno di molti, come quel carro

mai visto in un fosco mattino.

 

 

Un poeta che canta

E continua così la favola dei giorni

la favola di un povero poeta che canta.

Che canta la favola per altri bimbi

oramai cresciuti per strada ovunque

a cui piace sentire un poeta che canta.

Canta e suona come un vecchio tempo

un tempo dal colore del passato

in una di quelle feste ove

tutto ha un intimo sapore di brace.

Canta di cose vedute al mattino

quando si è ancora ubriachi

di sonno e piacere del corpo

di una compagna scavato nel letto.

Un mattino che perdura

la favola dei giorni

e si sente il corpo che vive

come suono di zampogne lontane.

Questo corpo che scopri

sempre più complesso

sempre più vivo ed in fermento

come un fazzoletto di terra bagnata;

una terra che perde la sua dignità

circondata da quattro mari e montagne,

come un ventre di donna

che tutti possono toccare ed ammirare.

 

 

E piace quel poeta che canta

che è nato sulla terra esile

che soffre per la terra

e gira le strade in cerca di feste:

poiché bisogna girarle le strade

e cantare e suonare e parlare

perché tutti sappiano quello che sogna

a volte in un mattino

un ragazzo che non si sente più tale.

Un uomo che racconta

di cose vedute al mattino

con gli occhi incrociati

verso coloro che l’ascoltano

o forse no, smarriti più in là,

al di là delle tribune

in un mondo tutto suo

fatto di musica e canto

di tanti anni fa per feste di oggi.

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