Imola 1994: quando la morte vinse sullo sport

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QUALCOSA DI DRAMMATICO STA PER ACCADERE, SALVO INTERVENTO DIVINO. MA DIO, ORMAI ERA EVIDENTE, AVEVA UN ASCESSO, UN DOLORE AL DENTE DEL GIUDIZIO, ERA DISTRATTO, NERVOSO, CHISSA’ DOV’ERA.” (da Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna di Giorgio Terruzzi)

Sono passati trent’anni da quel maledetto fine settimana del 1994 (29 aprile – 1 maggio) in cui si disputò a Imola il XIV Gran Premio di Formula 1 della Repubblica di San Marino. Un evento sportivo caratterizzato da una sequenza di disgrazie che lascia stupiti ancora oggi. Nel corso delle prove libere del venerdì, la serie nefasta cominciò col terribile incidente di Rubens Barrichello, salvo per miracolo; durante le qualifiche del giorno dopo, la morte del pilota austriaco Roland Ratzenberger, schiantatosi con la sua Simtek alla curva Villeneuve, mentre viaggiava a oltre 300 km/h. Ma non era ancora finita: alle 14:17 del primo maggio, nel corso del settimo giro della gara, fu la volta di Ayrton Senna, che trovò la morte alla famigerata curva del Tamburello, vittima di una combinazione incredibile di circostanze sfortunate.

La scomparsa di Senna, per almeno due motivi, rimane l’evento più ricordato di quel Gran Premio. Innanzitutto perché ha riguardato il numero uno di quel periodo, e uno dei più grandi piloti di tutti tempi (per molti, il migliore in assoluto); poi, perché la tragedia è stata immortalata attimo per attimo dalle immagini televisive, una “morte in diretta” che, personalmente, mi ha lasciato un segno indelebile. Non è un caso che, come accadrà in seguito anche per i fatti dell’11 settembre 2001, la maggior parte delle persone che hanno avuto la sfortuna di assistere a quell’evento, sia dal vivo che alla televisione, ricordino con precisione dove fossero, cosa stessero facendo e chi ci fosse insieme a loro.

Erano passati dodici anni dall’ultimo incidente mortale in F1, quello del ventiquattrenne milanese Riccardo Paletti (13 giugno 1982, GP del Canada), e sei dalla tragica fine di Elio De Angelis, che perse la vita in un incidente durante una sessione di test privati in Francia. A Imola, di colpo, il circus ripiombava nell’incubo, con addirittura due morti nello stesso fine settimana. Dopo un tale disastro, anche dietro forte pressione dei piloti, il circuito fu modificato e reso più sicuro, come, più in generale, fu resa più sicura la Formula 1, attraverso vari provvedimenti rivelatisi efficaci. Nei venti anni successivi, infatti, non si verificarono più episodi fatali, fino al GP del Giappone del 5 ottobre 2014: durante la gara, il giovane pilota francese Jules Bianchi uscì di pista e andò a sbattere contro una gru mobile, procurandosi un gravissimo ematoma cerebrale che lo avrebbe portato alla morte dopo nove mesi di coma. A oggi, rimane l’ultimo evento luttuoso che ha riguardato un pilota di F1.

Tornando ai fatti di Imola 1994, al di là del vuoto enorme lasciato dalla scomparsa dei due piloti, rimane un interrogativo fondamentale: che senso ha avuto continuare la corsa dopo quello che era successo? Perché, dopo la morte di Ratzenberger, non fu deciso immediatamente di annullare la gara? Perché non ci si fermò nemmeno dopo l’incidente di Senna, apparso da subito chiaramente gravissimo? La morte di due protagonisti non era abbastanza per ammettere una deroga alla regola/imperativo “Lo spettacolo deve continuare”? Incredibilmente, pare di no…

Per puro dovere di cronaca, la gara fu vinta da Michael Schumacher, allora astro nascente della F1 che, privato dal destino del suo più acerrimo rivale, da cui aveva simbolicamente raccolto il testimone (al momento dell’incidente era proprio dietro di lui), si avviava a vincere il primo dei suoi sette titoli mondiali. Ma quel giorno – e sia detto a costo di scivolare nella retorica – a Imola persero tutti quanti, perse lo Sport, e perse soprattutto la F1, che subì un duro colpo alla sua credibilità e rispettabilità. Rivedendo le immagini di quella mesta e surreale cerimonia di premiazione finale, con i piloti (Schumacher, Nicola Larini e Mika Hakkinen) sul podio a capo chino, visibilmente spaesati, più che alla celebrazione di un evento sportivo sembra di assistere a quella di un funerale.

Francesco Vignaroli

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