“Rifondare”. Lirica di Massimo Triolo

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Rifondare

 

Quanto arduo mi è posare le parole

In questo piccolo canestro di coscienza nuova,

e farne atto,

farne voce –  ora posata –

di nuove ragioni e più vere.

Farne astro fulgente di questo fragile, pur vivo cuore,

senza ragioni dettare

che non sappia io stesso onorare.

Quando invece lo specchio di un volto

era quel gruzzo di ragioni il cui volto negavo.

Io, vedi, che alzavo la voce,

prendevo a pugni il vento e morivo

di questa tua identica morte d’esser uomo,

senza saperlo dire se non gridandolo

e molto soverchiando dell’altrui fraterna vita.

Ma uomo ancora non arrivo a dire,

se la sfida era raccoglierne un pugno di sale,

partecipare le aspre vie e i ponti non più che malcerti,

con l’abbracciata fatica di venir utili alle proprie mani,

quando tutto attorno è sortilegio non così oscuro

di più conculcata vita,

scempio e rovina e scientismo tiranno;

governanti pupazzi di più vertiginose quote di potere –

loro voce ventriloqua e automatico scacco

al rifondare un umano più umano

delle loro vigliacche pantomime di servi gregari.

Uomo è più uomo che ogni artificio,

uomo è più uomo,

nella pena che non cede al disincanto,

uomo e più uomo,

di questo gioco di scatole cinesi che è la sua vita politica;

uomo è più che involucro di veleni ed esangue parola,

stipata manovra d’agire un tempo largo.

Egli, ancora vinto dagli automatismi del sistema,

messaggero di pace, grida guerra alla luna,

per guerra non attuare che in pace e solidarietà,

con fulgidi atti di autocoscienza

nella latebra di questo vivere a sé estinto

e figlio di soprusi seriali.

Da ogni parte garantito

manipolando e spostando gangli di competenze

che son pedine assoggettate

all’autarchia del neocapitalismo.

A guisa di programmate macchine,

esse ripetono, di chi nell’ombra muove le fila,

la sete di niente possedere se non violentando –

su una scacchiera in cui tutto è virtuale

e di concreto si pone solo l’omologazione.

Oggi, uomo è più uomo cogliendo a grappi

olismi d’intersecate discipline,

destando la sonnolenta, assuefatta sopportazione,

per trasvalutare il ruolo proprio

altrimenti fatto a brani da una nuda tecnica senza etica,

e da una falsa etica preposta a difenderla.

Quanto arduo ci è posare le parole

In questo piccolo canestro di coscienza nuova,

e farne atto,

farne voce –  ora posata –

di nuove ragioni e più vere.

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