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Gioco di specchi per Beatrice Visibelli ne “La mite” di Dostoevskij: la tragedia della vittima attraverso gli occhi del carnefice

Data:

Trieste, La Contrada – Teatro Stabile di Trieste, Teatro dei Fabbri – Stagione AiFabbri2 – Rassegna di Teatro Contemporaneo, 11-13 novembre 2021

Sono davvero tanti i motivi per consigliare la visione de “La Mite”, messa in scena in prima assoluta al Teatro dei Fabbri di Trieste nell’ambito della Rassegna di Teatro Contemporaneo “AiFabbri2”.

Si può di certo iniziare proprio dalla scelta del testo, lucidissima analisi di quel che accade nei casi di violenza domestica, osservata qui nella sua interezza e dall’inizio, dal primo incontro tra vittima e carnefice fino alla morte di lei, in questo caso per suicidio dopo essere stata “tormentata a morte”.

Considerato, da George Steiner tra gli altri, come uno dei massimi maestri del dramma tragico, Fëdor Dostoevskij dà voce all’uomo, lo accompagna passo passo nella presa di coscienza di una responsabilità che rifiuta di assumersi, senza riuscire a celare gli aspetti e le caratteristiche più sottili in tutta la loro ineludibile enormità.

Ma di fronte al pubblico, a far parlare lui c’è una donna, la bravissima Beatrice Visibelli.

La sua voce profonda, ricchissima di armonici, fa arrivare il racconto in tutta la sua potente drammaticità e, mantenendo la prospettiva maschile, crea la magia: grazie a questo ribaltamento di prospettiva, mirabile gioco di specchi, si azzerano infatti in modo totale gli stereotipi di genere che con troppa facilità rischiano di condizionare l’ascolto, ostacolando nello spettatore la comprensione dei meccanismi che portano al femminicidio, agito o favorito.

Perché, è necessario ricordarlo, siamo tutte e tutti immersi in una cultura che ci induce vigliaccamente a pensare alla falsità più indegna, cioè che “in fondo se l’è cercata”.

Dostoevskij, con inarrivabile acutezza, ci permette invece di riconoscere nel comportamento del protagonista la volontà di possesso, controllo, dominio su un’altra persona, giudicata in principio come fragile, buona, “mite”, acquisita tra le proprietà al solo fine di ridurre il personale senso di inadeguatezza nei confronti di un ambiente sociale che lo tiene ai margini, incurante del provocare sofferenza.

Quest’uomo vive l’onta bruciante di essere stato ostracizzato dal proprio reggimento per viltà, ne sperimenta quotidianamente una vergogna che non riesce a placare.

Cerca allora, e trova, lo strumento per tentare di uscire da una condizione degradante, dall’impossibilità di guardarsi con serenità allo specchio la mattina dopo essersi svegliato: una moglie che sia pura, buona, semplice, disperata. La terribile situazione in cui la giovane vive diventa così l’occasione ghiotta per appropriarsene.

Comprende benissimo con quanta chiarezza lei lo abbia visto dentro, ma non se ne cura: “l’ho sposata per tormentarla”; la manipolazione è l’arma subdola utile a mantenere con costanza il controllo su di lei, o almeno a provarci, incapace di riconoscere quanto sia assurdo illudersi di sentirsi rispettabili attraverso la bontà e la dignità della moglie.

Ecco che, nello sgretolarsi dell’immagine di sé, l’accanimento progredisce senza pietà fino al tragico epilogo.

E, ancora, lo sguardo resta su di sé: “Domani la portano via e io, che faccio?”

Paola Pini

Trieste, La Contrada – Teatro Stabile di Trieste
Teatro dei Fabbri – Stagione AiFabbri2 – Rassegna di Teatro Contemporaneo
11-13 novembre 2021
La mite
di Fëdor Dostoevskij
adattamento e regia Nicola Zavagli
con Beatrice Visibelli
produzione Compagnia Teatri d’Imbarco
Nel bicentenario della nascita di Dostoevskij (11 novembre 1821)
Prima assoluta

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