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Pelléas et Mélisande: una prima capolavoro all’Opéra Comique! L’Amore e la Morte visti dalla fanciulezza.

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“Pelléas et Mélisande”, uno dei capolavori operistici del ‘900 riprende vita qui, proprio dove era nata il 30 aprile del 1902, all’Opéra Comique. Lo splendido soggetto simbolista di Maurice Maeterlinck, incorniciato dalla meravigliosa musica di Claude Debussy, è protagonista in quest’ambito di una prima eccezionale e stupefacente. “Capolavoro”, “splendido”, “eccezionale”… sono parole forti e forse anche banali, che non dovrebbero essere usate in modo così semplice in una critica di spettacolo, ma se li uso è proprio perché non saprei descrivere in modo migliore ed esauriente una messa in scena che mi ha veramente sorpreso ed emozionato, sotto tutti gli aspetti. Ma adesso è giunto il momento di cominciare a parlare dello spettacolo. A dire il vero non amo molto parlare delle trame, preferendo concentrarmi sulla messa in scena, ed è per questo che, come già fatto per il “King Arthur”, mi piace “regalare” un link ai miei colleghi, da me molto stimati, di Myword, che all’interno del loro giornale hanno una sezione dizionario in cui vengono analizzate con cura e professionalità le trame delle opere. Andatevi quindi a leggere questa di Pelléas et Mélisande e tornate qui, se volete, a leggere invece la critica sulla prima all’Opéra Comique di Parigi.

È un po’ la “solita storia” di Eros e Thanatos? Un po’ sì, anche se Maeterlinck aggiunge a questi due temi un altro di vitale importanza, quello dell’adolescenza. È infatti vero che tra i giovani Pelléas e Melisande nasce un amore, ma non si tratta di un amore carnale, ma anzi di un amore spirituale, simbolico. I due si fermano di sovente alla finestra solo per guardare insieme il sorgere della luce. Un amore forse e appunto infantile, sicuramente incompreso, che porterà i giovani alla tragica fine. La scena si monta e si smonta. L’elemento fondamentale è una piattaforma disposta per terra e che dobbiamo immaginare circondata dal mare – ci fa pensare un po’ al suolo di un pianeta sconosciuto e lontano -, una piattaforma con una buca a sinistra. Si tratta della sorgente d’acqua dove Melisande perde il suo anello; si tratta del luogo tenebroso dove trova la morte Pelléas. Ma poi in altre scene quella buca viene riempita da un grande faro marittimo (è il palazzo nei cui interni si svolgono le vicende del dramma), che veramente sorprende fin dalla sua apparizione per la sua solennità scenica, soprattutto se messo a confronto con un altro oggetto scenico: un altro piccolo faro marittimo, gioco d’infanzia, che contrasta con l’altro. Il paragone non è casuale, visto che l’intero dramma mette a confronto due mondi paralleli e che non riescono a incontrarsi fino alla fine: quello dell’età adulta e quello della fanciullezza. Esiste anche un’altra figura fondamentale, quella dell’anziano padre Arkël, che cerca di essere il mediatore tra queste due età. In scena anche il portatore dell’età dell’infanzia, il piccolo Yniold, che viene immerso in modo aggressivo da Golaud nell’universo degli adulti, spodestato dal suo mondo fantastico e immaginario di bambino. È Golaud infatti a servirsi del bambino per spiare Pelléas e la sua ossessivamente amata Melisande. Eros e Thanatos allora (Eros carnale e coniugale, quello tra Golaud e Melisande, che darà vita alla nascita nel finale del bebè; Eros platonico e ingenuo quello tra i due ragazzi protagonisti; Thanatos invece è dappertutto e pervade il dramma dal suo inizio alla sua fine, tanto è vero che sul palcoscenico troviamo spesso un letto da malato, che sarà anche il letto di morte di Melisande) non bastano, perché, essendo la fanciullezza l’occhio che guarda agli avvenimenti, questi ultimi vengono trasformati e resi al pubblico in una tinta simbolica, fantastica, sognatrice, ma non per questo non infausta o intrisa di terrore.

Straordinarie e sorprendenti le strutture sceniche (e il disegno luci così ben calibrato) di Stéphane Braunschweig, che cura anche la stessa e brillante regia di questo spettacolo gioiello, anche grazie all’attenta ed emotiva interpretazione orchestrale delle eleganti, passionali, intense, oniriche musiche di Debussy da parte dell’Orchestre des Champs-Élysées, diretta dall’ottimo Louis Langrée. Point positif anche per l’intero casting attoriale, sempre compatto e organico in scena, dove emerge certamente la performance teatrale e canora della Melisande Karen Vourc’h, capace di fare suo un ruolo, e di riuscire a renderlo umano, così astratto e come soprannaturale. Mi piace evidenziare anche l’ottima interpretazione di Yniold, portato in scena dalla giovanissima cantante Dima Bawab, che, nonostante l’età, dimostra maturità sul palcoscenico, capace anche di tenerlo in determinati casi da sola, grazie alla sapienza teatrale e a un timbro di voce, seppur giovane, molto intenso.

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