E’ indubitabile che il tono celebrativo che ha investito l’opera di un personaggio ancora scottante, un cadavere ancora “bollente” per definirlo con un’espressione che non dispiacerebbe allo stesso Pier Paolo, possa suscitare qualche prurito da parte di una critica che Pasolini stesso ha definito nella prefazione a Bestia da stile fatta di” erodi”: … I Pilati (i critici letterari) mi rimandano agli Erodi (i critici teatrali) in una Gerusalemme di cui mi auguro che non rimanga presto pietra su pietra.
Naturalmente pensavo, anzi speravo che la critica teatrale avesse fatto qualche passetto in avanti rispetto agli anni (il 1974) in cui Pasolini licenziava con queste parole l’ultima stesura del suo testo. Che si fosse insomma compresa la battaglia teatrale di Pasolini. Invece mi sbagliavo. Gerusalemme è rimasta Gerusalemme, il prurito è diventato una rogna, e alcuni critici continuano a girare nel loro teatrino di pietre che gli cadono in testa.
Non intendo fare la controcritica ad una recensione sul Pilade in scena in questi giorni al Vascello nella versione di Daniele Salvo, tanto per non far nomi a firma Marcantonio Lucidi: non mi interessa la polemica personale, che lascerebbe il tempo che trova, bensì lanciare una puntualizzazione, anzi, ora mi viene la parola, un ALTO LÀ al pseudocritico – dirò poi perché pseudo – che afferma che i testi di Pasolini non sarebbero “teatrali” – con contorno di commenti omofobi o fascistoidi da parte di alcuni lettori che non vedevano l’ora di gettare altro fango e improperi sulla tomba e sulla figura dello scrittore.
Non si può comunque negare, pur senza conoscere approfonditamente la materia drammaturgica in questione, che Pasolini rappresenti in carne ed ossa la teatralità in persona. Teatrale la sua letteratura, teatrale il suo cinema, teatrale la sua poesia, teatrale la sua vita e addirittura teatrale (e perfino plurirappresentata) la sua morte. Però, per lo pseudocritico il suo teatro non sarebbe teatrale. Un paradosso.
Che i conti non tornino risulta a prima vista. Infatti lo pseudocritico definisce come NON TEATRALE qualcosa che non è propriamente NON TEATRALE, bensì è volutamente ANTI-TEATRALE. Se il nostro pseudocritico avesse usato i termini esatti per definire il teatro ANTI-TEATRALE di Pasolini non sarebbe caduto nell’errore e nella confusione dei termini che lo portano a non comprendere il significato dell’opera di Pasolini nella sua teatralissima ANTI-TEATRALITA’.
Apro una parentesi a scanso di equivoci. Naturalmente ogni classico, qual è Pasolini, può essere sottoposto ad una analisi critica anche serrata, magari anche cercando di mettere le cose a posto e ripristinando alcuni valori. Io ad esempio, che autorialmente non posso sottrarmi al mio destino storico di post pirandelliano, ho scritto che Pirandello ha messo le manine nell’opera di Tieck acchiappandovi più di qualche concetto, ma anche qualche parolina di troppo. Ma ho scritto un saggio filologico con tanto di confronto testuale e testimonianze pubblicandolo sulle principali riviste di italianistica e di germanistica. Insomma, ho scientificamente dimostrato la mia tesi.
Ora, tornando a Pasolini, certo che si può dire qualsiasi cosa, revisionarne il valore, purché la tesi o le affermazioni siano dimostrate scientificamente. Il teatro di Pasolini per lo pseudocritico non è teatrale? Ti pubblico il saggio a mie spese, caro Lucidi, ma devi dimostrarmelo “scientificamente”.
Ma come – mi chiederai – non ti basta il mio gusto? No, scientificamente non mi basta, a meno che tu non scriva chiaramente: a me non piace Pasolini, punto. Allora sarebbe più leale, criticamente parlando, sarebbe una questione di “gusto personale” e non invece un “giudizio critico” che – come ben sa Immanuel Kant – deve essere comprovato dal ragionamento e dalla dimostrazione.
Pirandello stesso scrisse una divertente notarella sull’idea del “teatro non teatrale”: la definì una barzelletta ieratica (La barzelletta del teatro teatrale, in Saggi e interventi, Meridiani, p. 1466). Un brano non posso farlo mancare in questa piccola disputa sulla (presunta) non teatralità di Pasolini:
Barzelletta, la quale vorrebbe significare che a un lavoro scritto per la scena occorrono, per essere “teatrale”, altri requisiti, oltre quelli che distinguono una vera opera d’arte da un’opera mancata. Che anzi ogni vera opera d’arte (teatrale) non possa essere “teatro teatrale”… Come se questi benedetti valori “teatrali”, che sono poi quelli puramente meccanici, aridi, tecnici, di mestiere, quando si fossero mangiati tutti gli altri, i soli di vera natura poetica, cioè quelli morali, ideali, sentimentali, fantastici, sociali ecc. per esprimere i quali il teatro è sorto in tutte le civiltà e vive e vivrà sempre, non avvilisse in ultima analisi il teatro stesso, togliendogli la sua propria bellezza e tutto il suo vigore. Il “teatro teatrale”: barzelletta.
Ed è questa la barzelletta che ci racconta lo pseudocritico che definendo NON TEATRALE il teatro di Pasolini non comprende la forza teatralissima della sua ANTI-TEATRALITA’ proprio nel senso etico, morale, sentimentale, fantastico, sociale (contro il teatro di mestiere) di cui parla Pirandello.
E dispiace che a dare la stura a questa bassa lettura della drammaturgia pasoliniana sia proprio un critico (ecco perché lo definisco “pseudo”) che fa della difesa del testo e del teatro di parola – nonchè contemporaneo, Dio gliene renda merito – un suo cavallo di battaglia. E se la va a prendere proprio con Pasolini che del recupero pieno del testo nella sua funzione drammatica e poetica, nel rilancio del teatro di parola contro un decennio di sperimentazione confluita in un vicolo cieco, è il primo e più convinto assertore con tanto di manifesti e polemiche? Possibile che sfugga l’importanza del nuovo connubio che, grazie a Daniele Salvo, si viene a creare con l’innesto del teatro “teatrale”, erede della sperimentazione, sul teatro “antiteatrale” (di parola) di Pasolini?
Il mio testo – dice Pasolini in una appendice a Orgia p. 322 delle Opere nei Meridiani) – è fondato esclusivamente sul testo, ma questo non esclude che ci siano la presenza fisica degli attori, la recitazione, e quel minimo indispensabile di convenzionalità teatrale che riproduce, portandola al minimo, anche la spettacolorità del teatro greco. Perché ho fatto questo? Perché il pubblico della cultura di massa è abituato ormai soprattutto a mezzi di comunicazione audiovisivi, mentre la parola è sempre meno compresa”.
Consiglio dunque al nostro pseudocritico di leggere o rileggere attentamente questi passaggi e di rivalutarli nella odierna situazione culturale. Per capire il senso e il valore del teatro non teatrale di Pasolini. Anche per non correre il rischio di finire nella suddetta “barzelletta” di Pirandello!
Enrico Bernard