Fino al 5 novembre 2016 al Teatro dell’Opera di Roma
Non è un’impresa impossibile rivisitare un grande classico, il balletto che forse più di ogni altro ha fermato l’immagine della ballerina eterea vestita di bianco. Lo ha dimostrato il giovane Christopher Wheeldon con una personalissima versione de Il Lago dei Cigni in scena al Teatro dell’Opera di Roma fino al 5 novembre.
Così Wheeldon, classe1973, dipinge un Lago fra fantasia e realtà dove protagonista diventa lo sguardo di un Primo Ballerino che in sala prove si cimenta nel ruolo del Principe Siegfried. Il sipario si apre su una sala di danza con tanto di specchio, sbarre e maître de ballet, proprio come in un quadro di Degas che ha ispirato il talentuoso coreografo inglese. L’arrivo di un ricco Mecenate, che seduce ballerine, insospettisce e indispone il giovane danzatore. Il ballerino, rimasto solo in studio, viene trasportato nelle atmosfere blanc della palude lacustre mentre i cigni riempiono lo spazio animati e imprigionati da quello stesso mecenate che ammiccava in sala prove: è lui Von Rothbart. Odette è una meravigliosa creatura, è il gioiello del lago alla corte del perfido mago. La storia continua come da tradizione. Ma nel terzo atto al ballo si sostituisce una sfrenata cena di gala in sala prove in vista della première. Il Mecenate/ Rothbart confonde gli ospiti e gli artisti con una serie di numeri/divertissement in cui viene trascinato anche il protagonista che si lascia sedurre da Odile consacrando la morte di Odette. Ma non tutto è perduto perché, proprio mente Siegfried piange disperato la perdita del suo cigno bianco e candido, la scena torna nello studio. L’entrata di alcune danzatrici segna il ritorno alla realtà: fra loro però c’è la Prima Ballerina e lo sguardo dei due protagonisti si incontra di nuovo. Forse nulla è perduto. Forse è un nuovo inizio.
“Fui colpito dalla bellezza dei dipinti di Degas – spiega Wheeldon – intrigato in particolare da quei misteriosi signori col cappello a cilindro che sbirciavano le ballerine in prova”. Parole che trovano riscontro in scena: il balletto somiglia a una tela impressionista nella composizione dei quadri di danza ma è impressionista persino il segno coreografico. Utilizzando un linguaggio decisamente accademico Wheeldon infatti riesce a tratteggiare il movimento come fossero lievi pennellate di Degas, rendendolo frizzante, talvolta divertente, sinuoso, ma sempre delicato ed elegante.
Un classico moderno che segue il percorso di Christopher cresciuto fra Royal Ballet e New York City Ballet: è MacMillan in persona che lo nota, Robbins che lo forma, Martins che lo ingaggia. Tecniche e stili si fondono qui con una certa maestria che difficilmente oggi si incontra quando si maneggiano il repertorio e una materia complessa e preziosa come la tecnica classica. Eppure Wheeldon ha il rispetto che si deve ai Maestri Petipa e Ivanov – e non tocca i passi celebri – ma allo stesso tempo si permette di variare leggermente la disposizione del corpo do ballo o di introdurre brani coreografici che ben si fondono al disegno d’insieme.
I nuovi giovani membri del corpo di ballo dell’Opera – diretto da Eleonora Abbagnato – si confrontano bene con questo lavoro a cui prestano una certa meritevole cura dei particolari. Odette/Odile Alessandra Amato, neonominata étoile, risulta vagamente insicura nei primi passaggi ma si riscatta con decisione nei passi a due sfoderando un carisma da cigno nero che non passa inosservato. Claudio Cocino è piuttosto convincente nei panni del Primo Ballerino sospettoso e sfodera una tecnica sicura che maturando può migliorare ancora. Von Rothbart, interpretato da Emanuele Mulè, è ambiguo al punto giusto e assai abile nel trasformarsi da mellifluo mecenate con cappello a cilindro a malvagio stregone carceriere.
Azzurra Di Meco