Venezia Mestre, Teatro Toniolo, dal 9 al 13 novembre 2016
Chi non conosce Cabaret, il musical reso famoso al cinema da Liza Minnelli e Bob Fosse nel 1972, alzi la mano. Meno note sono le sue origini letterarie. Un romanzo, Goodbye to Berlin (1939) di Christopher Isherwood, ispirò la commedia musicale di John Van Druten I Am a Camera (1951), trasposta sullo schermo da Henry Cornelius nel 1955. Joe Masteroff trasse da essi il soggetto per Cabaret che debuttò al Broadhurst Theatre di Broadway nel novembre 1966 con musiche di John Kander e liriche di Fred Ebb, dove Lotte Lenya impersonava Fräulein Schneider, portando con sé una ventata di autentico kabarett berlinese. Fu un successo per 1166 repliche che tutt’oggi vanta numerose riprese mondiali.
Trasferitosi a Berlino per lavorare ad un romanzo, Cliff Broadshaw, alterego letterario di Isherwood, conosce varie personalità, tra cui la giovane Sally Bowles, ragazza inglese che canta nel Kit Kat Klub sognando di diventare grande attrice. Attorno alla loro turbolenta storia d’amore, che Fosse rese ambigua aggiungendo il barone Max per esaltare la bisessualità del protagonista, ruotano le vicende degli altri personaggi. Da lì a poco, la Repubblica di Weimar lascerà il posto al nazismo e la commedia mette al centro proprio i futuri perseguitati: artisti, donne libere, ebrei ed omosessuali.
Il legame tra Saverio Marconi e Cabaret risale al 1993, quando la Compagnia della Rancia lo propose, con tanto di orchestra, al Festival dell’operetta di Trieste, facendo poi il giro dell’Italia (su basi registrate) nelle due stagioni successive. Un’altra edizione venne approntata nel 2007. Non stimo l’italianizzazione del musical e dell’operetta per farne “pane comune” perché la trovo più astuta operazione di mercato che culturale, ma da tempo la prassi è consolidata. Nel caso specifico la versione ritmica di Michele Renzullo, colonna portante della compagnia già dagli anni Novanta, spoglia del fascino originario le liriche di Ebb, rendendo claudicante e a volte quasi forzato il rapporto testo-musica – le traduzioni di Perfectly marvelous girl e Money, money ne sono un esempio.
L’allestimento attuale non è sfarzoso poiché vuole dare più sostanza alle parole per rispecchiare la vita e le sue brutture. Un telo a celare e svelare gli ambienti, assi di legno e luci sono i semplici elementi di cui constano le scene di Gabriele Moreschi. Raffinati e frutto d’una ricerca contestuale all’epoca i costumi di Carla Accoramboni, valorizzati dal light design di Valerio Tiberi. Marconi vuole guardare oltre il sipario, costringendo lo spettatore “a mettersi di fronte alla tendenza di oggi a lamentarsi senza però mai reagire per cambiare davvero”, in riferimento all’“l’indifferenza della gente che non si occupa (o preoccupa) di quello che gli succede intorno se non ne viene toccata direttamente.” Ciò avviene solo alla fine, in maniera piuttosto affrettata, quando tutti verranno marchiati e caricati su un carro bestiame. Se tale è l’intento, ci vuole maggior attenzione a sottolineare l’ascesa graduale della furia hitleriana e le ripercussioni emotive che essa ha sui protagonisti.
Se così non è, lo si deve a un cast esiguo – dodici membri – e disomogeneo. Giampiero Ingrassia è Emcee ripulito da qualsiasi ambiguità, semplice Maestro di cerimonie che sa fare. Il ruolo ha aggiudicato a Ingrassia il Premio Persefone 2016 come migliore attore protagonista di musical. Le doti di attore e cantante ci sono, sebbene qui e lì le parole si perdano, ad esempio durante Non importa. A Giulia Ottonello, giovane vincitrice di Amici 2003, la parte di Sally. Certo, voce potente, ma ancora da maturare. Tende a imitare il timbro di Mina nella zona grave, mentre può migliorare il registro acuto, non ancora pieno. La recitazione è giocata su una frenesia verbale e gestuale che la rende acerba per il personaggio apparentemente frivolo, ma denso di sfaccettature, qui non centrate bene. Brava Altea Russo, autentica voce da musical in accordo perfetto con le doti drammatiche. Ingessato il Cliff di Alessandro Di Giulio che denota incertezza su acuto e intonazione quanto Michele Renzullo. Completano il cast Valentina Gullace e Andrea Verzicco.
Le coreografie di Gillian Bruce sono affidate alle Kit Kat Girls Ilaria Suss, Nadia Scherani e Marta Belloni, a cui va un meritato plauso nel restituirle con energia, e ai Kit Kat Boys Marco Rigamonti e Matteo Tugnolo.
Teatro gremito alla recita del 12 novembre e al termine consensi generali da parte del pubblico.
Luca Benvenuti