Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Altri Percorsi – Sala Teatro Miela, dall’11 al 13 aprile 2017
Anna Politkovskaja? Una giornalista scomoda.
La libertà di pensiero fu lo strumento che usò sempre nel raccontare quel che vedeva con coraggio, coerenza e convinzione.
Stefano Massini ha deciso di creare un testo drammaturgico per narrare la sua storia attraverso una prospettiva affascinante e molto adatta: una raccolta di episodi separati, tratti dagli scritti della Politkovskaja stessa e resi come fossero delle immagini raccontate, degli scatti narrativi distinti attraverso i quali costruire la sua figura.
La regia efficace di Silvano Piccardi sostiene con convinzione questa lettura, anche attraverso il sapiente uso delle luci e la scena è spoglia, essenziale: un tavolo, una sedia e un’arpa con la quale Floraleda Sacchi accompagna con la sua musica l’interpretazione coinvolgente, partecipata, intensa e impegnata di Ottavia Piccolo.
Lo spettacolo che ne risulta è molto suggestivo: da numerosi elementi distinti, proposti senza un preciso ordine temporale, emerge la personalità di una donna che con il suo mestiere giunse ben oltre alla semplice cronaca di fatti estremi raccolti in zone ad alto rischio: in situazioni simili ciò che avviene non è mai limpido e chiaro e c’è bisogno di fare molta attenzione; il modo più giusto e corretto di agire sta nell’osservare con sguardo lucido, non appesantito da preconcetti o ideologie imparando a prendere parte senza giudicare; lei scelse, come proprio punto di riferimento stabile, vera e propria Stella Polare, la denuncia di ogni offesa alla dignità e ai diritti umani, priorità per lei irrinunciabile, che le diede la sensazione di “non appartenersi” e di sentirsi in lotta senza avere delle alternative diverse dall’osservare, descrivere, raccontare.
Il lavoro di un giornalista si realizza mettendo a disposizione del lettore degli scorci che, riuniti assieme creano un mosaico la cui immagine risulterà più o meno chiara a seconda delle capacità di scegliere e seguire con costanza un filo conduttore.
L’enorme efficacia della scrittura che la Anna Politkovskaja (nata a New York da genitori ucraini che si trovavano degli Stati Uniti in quanto diplomatici presso l’ONU) sapeva creare emerge in questa ventina scarsa di immagini evocate dalla vivida narrazione di Ottavia Piccolo, perfettamente fedeli allo spirito etico che la animava.
Si passa così dalla Cecenia (che è in Asia, come viene più volte opportunamente ricordato) dell’agosto 2006 alla crisi che portò al massacro nella scuola di Beslan nel 2004, al tentativo di avvelenamento che subì mentre era in volo per quella destinazione (episodio mai chiarito); e poi, Grozny e la strage nel Teatro Dubrovka a Mosca, ma anche la propaganda fatta con ogni mezzo, fiction televisiva in onda in prima serata compresa, raccontata con un’ironia acuta e pungente.
C’è anche la responsabilità di cui si caricò per aver provocato indirettamente la morte di chi si era esposto in prima persona raccontandole fatti poi da lei denunciati dopo aver trovato documentazioni adeguate ad attestarne la veridicità. C’è pure l’omicidio della donna, a lei somigliante, avvenuto pochissimo tempo prima di quello che la finirà, avvenuto il 7 ottobre 2006.
Emerge costante la volontà di condividere fino in fondo la vita delle persone sotto assedio perché per essere credibili bisogna cercare di comprendere davvero quel che avviene e far risuonare così, grazie al potente strumento della scrittura, le corde che accomunano qualsiasi essere umano sofferente di fronte alla brutalità e alla crudeltà dei suoi simili.
La sua era un’indignazione non urlata, ma posata e ferma e per questo ancora più efficace. Fu assassinata perché faceva paura al governo russo o la sua morte doveva essere usata dai nemici dello stesso, per far ricadere la colpa sui suoi vertici? Importa davvero saperlo?
Persone così disturbano principalmente per il fatto di ricordare a tutti noi quali dovrebbero essere le priorità delle nostre azioni e, in fondo, poco importa se i vertici politici ne fossero o meno a conoscenza. Quel che conta è aver chiaro che in qualsiasi sistema, immenso come la Russia o piccolo come ciò che è parte di ogni quotidianità, ci possono essere persone che si sentono in diritto di far tacere in modo più o meno cruento le voci che liberamente si esprimono per far emergere gli abusi, le prepotenze o la violenza da cui, purtroppo, la natura umana non riesce a liberarsi.
Ed è necessario che storie come questa, che in fondo ripetono una volta ancora quel che già sappiamo, che abbiamo visto e sentito, continuino ad essere narrate perché, proprio come la struttura di questo spettacolo, abbiamo bisogno di poterla conoscere attraverso tutti gli infiniti modi, prospettive, angolazioni. Siamo esseri intelligenti, ma di scarsa memoria e ogni volta sappiamo convincerci di aver visto tutto e di aver finalmente imparato. Così, continuiamo a ripeterci, sinceramente convinti, “mai più”. Fino alla prossima.
Paola Pini