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“Io secondo Woody”, il primo disco di LePuc

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Giacomo Palombino, in arte LePuc, è un cantautore che arriva a realizzare uno dei suoi sogni, quello d’incidere il suo primo disco. Il musicista ci parla di questo e di molto altro…

“LePuc”… da dove questo nome?

LePuc è nato in Spagna, più precisamente a Salamanca, la città dove ho vissuto per un anno grazie al progetto Erasmus. Ogni lunedì suonavo all’open mic del Savor, un posto dove qualsiasi tipo di artista poteva esibirsi semplicemente segnando il proprio nome su una lista. A fare da presentatore durante la serata c’era Koji, un poeta giapponese che, leggendo “Giacomo” (il mio vero nome) sull’ elenco dei partecipanti, mi chiamava sul palco utilizzando il cognome di due personaggi celebri: Leopardi e Puccini. Così, per gioco, prendendo “Le” di Leopardi e “Puc” di Puccini è nato LePuc. Si scrive tutto attaccato e si legge come si scrive!

 Puoi dirmi qualcosa della tua attività musicale? Quando e come hai iniziato?

Come molti ho iniziato durante gli anni del liceo, imbracciando una chitarra e strimpellando i Clash. Per molto tempo, intrapresa la carriera universitaria, la musica è rimasta una passione con le sembianze di un hobby. Dopo, grazie alla Spagna, ho riscoperto la bellezza di scrivere storie e di provare a raccontarle a qualcuno. È stato un viaggio fatto con una chitarra suonando per i marciapiedi d’Europa ad ispirare il mio EP “Lucciole”, lo “spin-off” di “Io secondo Woody”.

17264298_1791838264468298_6816078975208719431_n (2)“Io secondo Woody” è il tuo primo disco, che pubblichi per Apogeo Records. Di cosa si tratta? Come lo definiresti?

“Io secondo Woody” tratta del cambiamento. A volte parla della voglia di cambiare e del desiderio di essere altro, a volte della paura di cambiare. A volte parla del cambiamento che si vive in prima persona, altre volte del cambiamento che vediamo negli altri. Altre volte ancora il cambiamento diviene trasformazione, un po’ come il passaggio da Giacomo a LePuc. Tutto questo viene sceneggiato sotto un punto di vista ben definito, quello di un narratore esterno che si chiama Woody.

Che cosa significa per te essere cantautore nell’era dei talent? Che cosa pensi dei Talent?

Penso che il talent abbia semplicemente creato una nuova strada, forse una scorciatoia (almeno apparentemente). È una modalità, una ricetta diversa: c’è chi la carbonara la cucina con la pancetta e chi con il guanciale! Il talent è la carbonara fatta con la pancetta solo perché non si è trovato il tempo di cercare meglio fra gli scaffali del supermercato. Tutto ciò non penso cambi il modo di essere cantautori. Diciamo che accetto, ma non condivido.

Hai degli idoli a cui t’ispiri?

Tutta la scuola cantautorale italiana occupa uno spazio importante nella mia musica, oltre che nella mia collezione di dischi. Francesco De Gregori si prende diversi scaffali, ma l’artista che più di altri mi sento di considerare un idolo è Lucio Dalla. Devi sapere che i miei primissimi ricordi musicali sono legati a lui. Da piccolo, durante i viaggi in macchina con i miei genitori, c’erano sempre cassette di Dalla nello stereo. E poi il mio primo concerto, o almeno il primo ricordo di un concerto: Dalla insieme agli Stadio alle Isole Tremiti. Ero piccolo e lo vedevo seduto sulle spalle di mio padre, ma ho delle immagini fisse nella testa. Magia!

Progetti futuri?

Suonare il più possibile e scrivere nuove pagine di questo diario fatto di canzoni. Penso che esibirsi dal vivo e desiderare l’applauso delle persone che si incrociano debba essere la prima preoccupazione di un musicista. La parola “musicista” mi dà una certa aria, rileggetelo tappandovi il naso.

Stefano Duranti Poccetti

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