Giacomo Festi è uno scrittore giunto già alla sua quinta pubblicazione. Dotato di un senso dell’ironia non comune, ha pubblicato quest’anno Un giorno di ordinario narcisismo, un libro che parla da vicino della nostra società. Ascoltiamolo…
Ciao Giacomo, innanzitutto potresti presentarti brevemente ai nostri lettori?
Ciao a tutti!
Che dire… sono Giacomo, ma per tutti Jack, tanto che certe volte consegno le bozze con questo nome. Vorrei dire che ho fatto grandi cose, ma per ora solo le industrie di caffè e sigarette gioiscono del mio operato. Poi un giorno una bambina per strada mi ha scambiato per Alvaro Soler, ma non so quanto faccia curriculum come cosa.
Ho scritto cinque libri, con tutti i pro e contro della cosa. Mi piacerebbe essere un autore impegnato, ma per il momento sono solo una persona impegnativa. Però c’è gente che li ha apprezzati, alcuni temerari mi hanno dato pure più possibilità, e questo è ciò che mi rende più felice di ogni cosa. Al momento però i fighetti mi considerano troppo tamarro e gli alternativi troppo normale, quindi ho il dono di essere sempre fuori posto in qualunque circostanza.
Diciamo che posso permettermi di prendermi poco sul serio. Un lusso concesso a pochi.
Hai già pubblicato cinque libri. Che cosa significa essere scrittori oggi?
Dovreste chiederlo a un vero scrittore, mi sa.
Penso che solo chi vive di scrittura o ha raggiunto la completa maturità artistica possa definirsi tale… e io sono bel lungi da ambo i risultati.
Per quella che è la mia esperienza posso dire che solo entrando in questo mondo puoi capire se è la strada che vuoi veramente fare, perché è un percorso talmente irto e pieno di difficoltà che molti (si stima il 70% di chi scrive) si ferma alla prima pubblicazione. Io dico che è semplice selezione naturale. Pubblicare per molti è il fine, quando invece è solo l’inizio. Devi essere pronto a reinventarti in ogni momento per emergere dal mucchio e a macinare chilometri su chilometri per far conoscere il tuo lavoro, spesso per presentazioni dove sono presenti due persone. Certe volte ammetto che mi sono chiesto se valesse la pena impiegare tutti quegli sforzi… ma se sono qui a fare questa intervista oggi, credo che la risposta sia ovvia.
Sul piano personale, però, bisogna sempre mettersi in discussione. Solo così si evita di diventare ripetitivi. Ed evitate la finta modestia. Un vero modesto sta attorno al fuoco ad ascoltare lo sciamano, non si alza per raccontare la propria storia.
Ah, e i rosiconi. Preparatevi, ce ne saranno moltissimi, anche fra chi non ha mai aperto un libro.
E che cosa significa essere artisti oggi nell’era dei talent show? Tematica che tocchi nel tuo ultimo libro “Un giorno di ordinario narcisismo”…
“Artista”, così come “scrittore”, è un termine che è stato molto svalutato nel corso del tempo. Ci hanno fatto credere che tutto è possibile, quando la realtà è che spesso i nostri sogni possono essere addirittura più grandi di noi. C’è poi questo vero narcisismo nel pensare che forse non c’è qualcosa che non va in quello che facciamo, ma nella gente, il che porta ai veri problemi, sia nel settore che fra le persone. Credo che siano pochi quelli che fanno il botto al vero esordio, personalmente preferisco la persona che, pur rimanendo sicura di sé, cresce mettendosi sempre in discussione e migliorando mano a mano. “Artista” o “scrittore” non ci nasci, ma lo diventi.
I talent hanno ampliato questo modo di pensare. Hanno improntato un sistema che ritengo fortemente diseducativo, dove passi da perfetto sconosciuto ad individuo arci noto in un attimo, qualcosa che non ti permette di crescere né come artista né come persona. Ti fa saltare tutta la gavetta, quella che serve per farsi le ossa e riuscire a dimostrare che possiedi veramente la tenacia necessaria per andare avanti.
Non condanno assolutamente chi decide di farli, ma non mi sono mai andati particolarmente giù come sistema. Però è ingenuo pensare di intraprendere qualunque percorso senza dover scendere a compromessi più o meno grandi, io stesso ne ho presi diversi. Diciamo che alla fine ognuno si esibisce nel circo che si merita…
Di cosa tratta il tuo libro?
La cronaca di una giornata particolarmente storta. Il protagonista non se la passa benissimo. È stato lasciato dalla ragazza per motivi che non ha ancora capito, non trova lavoro e ha pubblicato un libro che è stato un fiasco totale. Dopo l’ennesima litigata con suo padre, che gli rinfaccia quotidianamente il suo disappunto, esce di casa per farsi un giro, imbattendosi nella fauna dei suoi concittadini. Il culmine arriverà con la scoperta che un ex compagno di classe particolarmente odiato, reduce da un talent show, si esibirà proprio quella sera nella sua città…
Da dove è venuta l’idea?
Nel modo in cui mi vengono tutte: da una forte incazzatura.
Basta ascoltare certi discorsi e certe affermazioni dette da chi ci circonda nella vita di tutti i giorni per capire che il mondo non se la passa benissimo. Maschilismo, razzismo, bigotti vestiti da progressisti, omofobia, volgarità e vanto dell’ignoranza, che viene espressa coi concetti più di pancia… ognuno vuole dire la sua e sgomita per cercare posto, spesso per distribuire il nulla, ma solo per vedere il proprio ego galoppare. Trattare tutto con il tono della commedia, per quanto amara, mi sembrava la scelta più adeguata.
Il risultato di cui vado più fiero in questo caso e di essere riuscito a ritrarre impietosamente tutti i personaggi, nessuno escluso, ma senza toni polemici o d’accusa, quanto con un occhio distaccato e quasi compassionevole, nonostante la narrazione in prima persona.
Non mi è mai piaciuto dividere in sezioni nette i miei personaggi. Non credo nell’esistenza delle persone cattive, sono convinto che più che individui malvagi siano persone spaventate, da un mondo che non capiscono e, più probabilmente, dal fatto che non capiscono neppure loro stessi. Per questo c’è il bisogno di mettersi sempre in mostra, in un modo nell’altro. O forse sanno che nulla siamo e nulla diventeremo, ma hanno paura di ammetterlo a loro stessi.
D’altronde, io non ho bisogno di dire che sono intelligente. Sono sicuro che si nota.
Il tuo stile credo sia molto ironico…
Tempo fa una mia amica, quando stavo passando un periodo abbastanza duro, mi disse: “Beh, se non altro non hai perso il tuo umorismo”. E credo che, per quanto a tratti raggiunga livelli di ineguagliabile bassezza, il mio umorismo mi abbia salvato la vita più volte. Pure questo romanzo lo scrissi per uscire da quel periodo depressivo e, a suo modo, mi ha aiutato.
Ho sempre creduto nel potere terapeutico della risata. E sottolineo la risata, non il riso. La prima ha saputo guardare in faccia il potere e le paure, nobilitando l’uomo e facendo cadere convinzioni e stilemi (d’altronde nel castello, il più potente era il giullare, perché poteva ridere davanti al re), mentre il secondo è servito a distogliere l’attenzione delle masse. Bisogna stare attenti a non confondere le due cose.
Personalmente – senza cadere nell’intellettualismo di Woody Allen, per quanto sia uno dei miei idoli – confido in una risata che sappia mantenere sempre attivo il cervello, aiutando a riflettere, anche con un retrogusto amaro.
E adesso? Hai altri libri in mente?
Pure troppi. Ho più idee che energie e tempo a disposizione.
Per il momento sto presentando in giro Un giorno di ordinario narcisismo e lavorando a un settimo libro, oltre che cercando di proporre il famigerato “romanzo maledetto”.
Diciamo che qualcosa si sta muovendo.
Vorrei dire che sono le orde di groupie, ma in realtà sono i creditori che mi bussano alla porta…
Stefano Duranti Poccetti