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Il virtuosismo perfetto di EZIO BOSSO al piano e la sua talentuosa potenza come direttore d’orchestra mandano in estasi il pubblico empaticamente partecipe della sua condizione

Data:

All’Auditorium – Cavea di Roma

Nel corso delle varie epoche della storia dalla mitologia ad oggi gli spiriti liberi ed eletti, i “magistri” delle diverse discipline artistiche, sono stati spesso segnati dalla sorte con la legge dantesca del “contrappasso”: ovvero alle loro eccelse doti e qualità performative, idee ispiratrici e visionarietà pittorica, ha corrisposto una menomazione, una minorazione fisica, come nel caso, degli indovini Tiresia, Calcante e della povera ben Cassandra. Ciò s’adatta al sabaudo Ezio Bosso, classe ’41, incline alla musica fin dai quattro anni, solista in Francia a 16 e laureatosi in composizione e direzione d’orchestra all’accademia di Vienna con il maestro Ludwig Streicher. Da lì è stato un crescendo di fama e successo come solista o direttore d’orchestra nei maggiori teatri del mondo con unanimi consensi di spettatori e critica, mentre si faceva sempre più strada in lui,l’insidioso nemico patologico che gli corrompeva il fisico: LA SLA, tenendolo per 6 anni lontano dagli orchestrali, divenendo nell’autunno scorso direttore principale ospite del comunale di Bologna, fino a dirigere ”concerto per la terra” davanti ad 8000 persone in piazza Maggiore. A Roma, invitato dall’accademia di S. Cecilia per la stagione estiva nella Cavea, ha portato due sue composizioni ed un omaggio a due musicisti tedeschi dell’età illuministica: Bach e Bethoven.Dal suo repertorio ha estratto prima ”SPLIT”commissionatagli per i cartelli stradali, a lui autotrasportato logicamente ignoti, di cui ne ha individuati undici universalmente validi e l’ha trascritti in varie partiture,fino a quella per orchestra nel 2017. Dall’omonimo albionico, con le due frecce separate, ricercava il valore metaforico ed i più lo rintracciavano nella fine dell’amore,della convivenza,dell’ascoltarsi e nell’essere apolidi, senza radici. Nel secondo brano “Rain, in your black eyes”, ha commosso tutti, parlando dell’emotività e del valore ipertestuale delle varie piogge, con la loro intensità e tempi d’attesa, fino a paragonare l’acqua atmosferica, uno dei quattro elementi della scuola ionica naturalistica di Mileto, alle lacrime dei propri occhi. Del concerto per pianoforte di Bach n. 5, ha eseguito solo un movimento arioso, dato che fino al giorno prima gli aveva fatto male il braccio e due dita non le muoveva quasi più; con enorme maestria e tocco felpato, melodia ritmica, s’è destreggiato in questa sonata, che fu composta mentre J. S. Bach (Senach 1685-Lipsia1750) era maestro di cappella del principe Leopold a Komen dal 1717, periodo in cui nacquero tutti i concerti per clavicembalo BWM 1052-1058 redatti in un manoscritto autografo dopo il 1729. Del n. 5 s’è dunque ascoltato l’intermezzo “largo” assai sensibile, delicato e dal pathos, acuto, toccante i precordi. Dopo la pausa distensiva e tonificante, pure per riprendere le forze, abbiamo visto all’opera quell’Ezio Bosso dinamico ed impetuoso direttore d’orchestra imperioso nell’articolazione della gestualità carismatica ed autoritaria delle sue mani e braccia, per la 7 sinfonia di Van BEETHOVEN. Una vera cavalcata ritmica in crescendo, eseguita per la prima volta nella capitale austriaca l’8 dicembre 1813 che Wagner definì la metaforica apoteosi della danza. A cominciare dal poco sostenuto che dà il via alla sinfonia, definita bucolicamente pastorale, si sprigiona un’ incredibile forza sonora e strumentale che accumula sempre più tensione in un crescendo travolgente, che trova un momento di maestoso patetismo e pudica melanconica riservatezza, poi la nenia, canto popolare riprende con dirompente vitalità nel prelude allo scatenato, inebriante, parossistico, iterattivo ”allegro con brio” che ha mandato in ”solluchero” in un brodo di giuggiole, gli astanti del parterre e della gradinata infiniti ”standing ovation” a Bosso, come ad un mago che l’aveva avvinti ed incantati per 90 minuti.

Susanna Donatelli

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