Al Museo di Storia Naturale di Milano – Sala Antartide il 7 e 8 novembre 2017
Il paradiso è un luogo in cui non succede niente o per caso quello è l’inferno?
E noi dove scegliamo di vivere: nella paralisi, nella fantasia desiderante o in una terra di mezzo?
Alzi la mano chi può dire di aver assistito a uno spettacolo teatrale sotto allo scheletro, appeso al soffitto, di una balenottera lunga una ventina di metri.
Abbiamo vissuto questa esperienza singolare nell’ambito di Stanze, la rassegna di spettacoli ideata e curata da Alberica Archinto e Rossella Tansini, in collaborazione con Teatro Alkaest. Con questa ispirazione dal 2011 vengono organizzate rappresentazioni teatrali in luoghi non convenzionali e inconsueti: case private, musei e case-museo, studi professionali, legali e di architetti, laboratori, magazzini.
Una esperienza fuori dagli schemi per gli spettatori. Ma, nel contempo, una sfida senza rete di protezione per gli attori, privati di tutti gli ausili di un palcoscenico attrezzato: luci, acustica, scenografie.
Lo spettacolo Il Desiderio segreto dei fossili è stato rappresentato in una sala del Museo di Storia Naturale di Milano che ospita, oltre alla “balenottera galeotta”, le mille meraviglie del mondo animale, vegetale e minerale. La ragione di questa ambientazione sta nel fatto che pietre e acqua sono fra i fondamentali elementi ispiratori della piece. Scritta, diretta e interpretata dalla compagnia Maniaci d’Amore, fondata nel 2009 da Luciana Maniaci e Francesco d’Amore (sì, sono proprio cognomi reali e non di fantasia!), mette in scena il conflitto tra la sicurezza di una vita sempre uguale, ripetitiva, statica e mortifera e la potenza dirompente della fantasia, del desiderio, delle emozioni.
Questo conflitto si articola su due piani narrativi.
Quello “reale” è il paese di pietra (Petronia), che conta 73 abitanti e in cui da sempre non succede nulla. Nessuno nasce e nessuno muore. Non c’è acqua, non c’è vita. Tutti gli uomini lavorano come spaccapietre. Tutte le donne sposano quindi spaccapietre. Pania (Luciana Maniaci) aspetta un bambino, che non partorirà mai. La sua pancia non mostra le rotonde forme di una gravidanza gioiosa, ma le asperità spigolose di un blocco di pietra. L’unica donna in paese rimasta senza marito è sua sorella Amita (Francesco d’Amore in un riuscito e non caricaturale en travesti), che cova propositi di libertà e di ribellione dalle sofferenze.
Gli abitanti del paese guardano da tempo immemorabile una serie tv (il secondo piano narrativo), che si snoda intorno all’amore tempestoso tra Johnny Water (David Meden) e Roses (Luciana Maniaci in doppio ruolo di efficace sensualità).
Amita, fuori dai canoni che la vedono destinata a uno spaccapietre, vive al contrario il desiderio di ciò che non è fermo. Si innamora quindi del protagonista della serie tv con tale forza e intensità da strapparlo da quel mondo di finzione e fantasia e da riuscire a portarlo un giorno a Petronia.
Il bacio appassionato di Amita a Johnny segna un dirompente punto di svolta. Il suo desiderio fa irruzione nella realtà immobile di Petronia sconvolgendola. Arriva l’acqua. Simbolicamente si rompono le acque della gravidanza di Pania invadendo tutta la scena. L’acqua come vento, diluvio, pericolo, forza primigenia, energia vitale.
Iniziano ad accadere cose. Pania partorisce, Amita si innamora. Johnny testimonia una realtà diversa dalle abitudini di Petronia. Il bimbo per lui è oggetto di ammirazione e tenerezza e non più un blocco di pietra. Gli altri abitanti di Petronia scoprono le passioni, la vendetta, la colpa, i desideri, la gioia. La vita erompe.
E’ il trionfo della energia, delle emozioni. Della vita, quella vera che merita di essere vissuta accettando il rischio del conflitto tra la paura che spinge a non fare nulla e la smodatezza del desiderio.
Alla fine un bambino vero, in carne ossa e riccioli biondi irrompe sulla scena.
A dirci che una sintesi, un equilibrio sono possibili.
Giulia Bertasi alla fisarmonica sottolinea le emozioni più intense.
Guido Buttarelli