Venezia, Teatro Goldoni, dal 16 al 19 novembre 2017
Una fetta di zucca barucca. Le baruffe chiozzotte nascono da un gesto di galanteria, privo di malizia perché esteso anche alle altre donne presenti. Eppure, mal gliene incolse a Lucietta. Il pettegolezzo è servito, mariti, fratelli e amici, tutti son coinvolti. Commedia popolare, in primis di conversazione dove la parola diventa protagonista assoluta, propone un modello di vita positivo esaltando la libertà linguistica, la spontaneità del sentimento e la naturalezza del comportamento dei pescatori, conosciuti da Goldoni ai tempi della nomina a “coauditore aggiunto” presso la cancelleria criminale di Chioggia. Reca in sé un latente senso di nostalgia ascrivendosi, assieme a Una delle ultime sere di carnovale, tra gli ultimi lavori prima della partenza dell’autore per Parigi.
Lo spettacolo in questione, debuttato il luglio scorso nell’ambito della 69ª Estate Teatrale Veronese, soddisfa il pubblico delle Baruffe “com’erano, dov’erano”. La regia di Paolo Valerio non si discosta da una rassicurante tradizione comico-farsesca, volendo essere leggera e meno melanconica dell’insuperabile edizione di Strehler del 1964, da cui pesca alcuni particolari come certi aspetti di Lucietta, il Comandatore gobbo e il finale danzato. Gli va riconosciuto l’ottimo e accurato lavoro compiuto sulla lingua, grazie al contributo del professore Piermario Vescovo, che trova i risultati migliori in Fortunato, l’esilarante Valerio Mazzuccato, e Toffolo, Luca Altavilla, un Arlecchino camuffato da cittadino. Inutile ai fini della drammaturgia il brevissimo prologo cantato dalle cinque comari, all’insegna di uno stucchevole volemose bene. La scena di Antonio Panzuto consta solo di tavolati lignei per far risuonare meglio gli zoccoli, ai lati piani rialzati ove i personaggi si ritirano quando non impegnati nella parte e ampi velari illuminati dalle luci colorate di Enrico Berardi. I costumi di Stefano Nicolao, rigorosamente in stile, giocano su cromie precise volte a individuare i due nuclei famigliari e chi vi orbita attorno. Dopo gli splendidi e recenti esempi di ricerca quali Le donne gelose di Sangati, La locandiera di Le Moli, Gli innamorati di Shammah o, più in là, L’impresario delle Smirne di De Fusco, La famiglia dell’antiquario di Pasqual, La pupilla di Argiro, La trilogia della villeggiatura di Servillo, ci saremmo aspettati anche in questa stagione un Goldoni meno bozzettistico e più contemporaneo.
Nella compagnia si distingue la Checca di Margherita Mannino, già sul palco de I Rusteghi l’anno scorso, che si conferma attrice dalla bella voce squillante, dizione perfetta e gestualità sempre studiata. La segue la Lucietta di Marta Richeldi, ben delineata nel suo carattere iracondo. Buona la prova di Francesca Botti come Orsetta. Meno convincente la donna Pasqua di Michela Martini per il recitato dal volume basso e poco incisiva la Libera di Stefania Felicioli, entrambi ruoli che richiedono un robusto temperamento. Risultati migliori li danno gli interpreti maschili, tra cui risaltano il Titta Nane di Francesco Wolf che sa equilibrare rabbia e sentimento conferendo al personaggio una particolare nobiltà d’animo, il Toni di Giancarlo Previati e il Beppo di Riccardo Gamba. Piergiorgio Fasolo è un cogitore bonario, ormai dalla voce in età, ma ancor abile nel vestire degnamente ruoli signorili. Completano il cast Leonardo De Colle, paron Vincenzo, e Vincenzo Tosetto nel doppio ruolo di Comandatore e Canocchia.
Pubblico numeroso, entusiasta e partecipe riserva calorosi applausi al termine della recita del 16 novembre.
Luca Benvenuti