Milano ‘83

Data:

ITALIA   1983  65’  COLORE
REGIA: ERMANNO OLMI
VERSIONE DVD: NO

“MILANO SGUARDO MALIGNO DI DIO / ZUCCHERO E CATRAME” (dalla canzone Milano di Lucio Dalla)

Realizzato nell’ambito della serie “Capitali culturali dell’Europa”, Milano ’83 è un ritratto a trecentosessanta gradi del capoluogo lombardo, di cui vengono mostrati gli aspetti sociali, economici e, ovviamente, culturali.

Sul modello di Koyaanisqatsi dello statunitense Godfrey Reggio, e dello splendido Il pianeta azzurro dell’amico e collega Franco Piavoli (insieme al quale realizzerà poi, nel 2009, Terra madre), Ermanno Olmi, bergamasco di nascita ma milanese d’adozione, racconta la sua Milano rinunciando a dialoghi e sceneggiatura, e lasciando parlare le immagini -e la musica di Mike Oldfield- in un flusso continuo e serrato che conta più di millecinquecento (!) inquadrature.

1983: siamo nel cuore dei rampanti anni ottanta, gli anni della “Milano da bere”, gli anni del consumismo e dell’”edonismo reaganiano”. La televisione, specie quella privata, sparge ottimismo a piene mani. L’Italia è un paese che ancora cavalca l’onda del boom economico scaturito dalle macerie del dopoguerra; un Paese inebriato, se non stordito, da un benessere economico mai conosciuto prima. C’è tanta fiducia nel futuro, forse troppa, grazie anche alle allettanti promesse del nuovo corso capitalistico, che offre a tutti l’illusione di poter partecipare alla festa. In quegli anni Milano è il simbolo dell’Italia ricca e vincente che “ce l’ha fatta”, ed è probabilmente la città più prospera, più vitale, più aperta, e anche più “americana” del Belpaese. E’ a Milano che gli adolescenti del “riflusso”, fratelli minori dei ragazzi del ’77, danno vita a movimenti sottoculturali depoliticizzati (metallari, dark, paninari…) che pian piano si diffondono anche nelle altre grandi città italiane. C’è tanto fermento e, nel bene e nel male, Milano esercita una notevole influenza nel resto del Paese, imponendo mode e stili di vita provenienti dalla cosiddetta “modernità”.

In mezzo ai lustrini e alle bollicine milanesi dei primi anni ottanta, nella confusione di un’euforia tanto dilagante quanto superficiale, si leva una voce dissonante, una “stecca nel coro”. E’ proprio quella di Ermanno Olmi che, con Milano ’83, in aperta polemica con l’atmosfera effervescente ed effimera del momento, e nonostante sia alle prese con un lavoro commissionatogli -molto probabilmente- per glorificare l’immagine della città, decide di raccontare l’”altra Milano”: quella dei pendolari, degli operai, degli artigiani e dei cantieri notturni; la Milano della nebbia e dello smog; la Milano del traffico asfissiante e delle fabbriche; la Milano della gente che va sempre di corsa, non si sa per raggiungere cosa; la Milano dei pensionati e delle manifestazioni di protesta; la Milano degli annunci di lavoro e quella delle periferie fatte di anonimi palazzoni di cemento; la Milano degli esclusi: mendicanti, ubriachi e senza tetto. Certo, ci sono anche immagini felici: i ragazzi che amoreggiano sulle panchine dei parchi (con tanto di solerte tutore dell’ordine pronto a salvaguardare il pubblico decoro!); i bambini negli asili; gli studenti che chiacchierano tra loro; le persone che portano i cani a spasso; lezioni di ballo, lezioni di ginnastica, lezioni di astronomia. C’è la Milano notturna delle discoteche; la Milano che “vuo’ fa’ l’americana” con i panini di Burghy; la Milano “SEMPRE PRONTA A NATALE” (per citare ancora la splendida canzone di Lucio Dalla, che racchiude tutta Milano in soli tre minuti e mezzo) che si affolla nei centri commerciali a caccia di regali; la Milano dei riti collettivi pallonari nella cattedrale profana di San Siro, che qui trova più spazio di quella sacra, cioè il Duomo, inquadrato di sfuggita soltanto in un paio d’occasioni. C’è anche, naturalmente, la Milano “alta” del Teatro alla Scala, piazzata proprio in apertura, ma è solo un preludio depistante: subito dopo, con ancora le musiche dell’Ernani di Verdi in sottofondo, dalle luci della ribalta si passa a quelle delle fiamme ossidriche che si riverberano, illuminandoli a giorno, su statue e monumenti, muti e impassibili testimoni delle fatiche di tanti lavoratori notturni. Se ancora il taglio scelto dal regista non fosse chiaro, poco più avanti si assiste alla scena più cruda del film, che sgombra il campo da ogni possibile lettura elogiativa di questo documentario: è ancora notte, e un mezzo della nettezza urbana che sta pulendo una strada interrompe per un attimo la linearità del suo procedere per schivare, con una rapido scarto laterale, una sagoma adagiata per terra; anche se è buio, si riesce comunque a capire che si tratta di un essere umano… A far da colonna sonora al tutto, per fare un po’ d’ironia amara, c’è Vacanze romane dei Matia Bazar, brano che apparentemente ha poco da spartire con Milano, ma si tratta pur sempre di una canzone di successo proprio di quel 1983 (la si sentirà ancora in seguito, nella sequenza del fast food Burghy).

Dunque, accanto alle mirabilia del “miracolo italiano”, Olmi mostra anche le tante falle di un sistema che ha promesso tanto ma mantenuto solo qualcosa, e non per tutti. Milano ’83 costituisce un prezioso documento d’epoca, anzi, è una fotografia di quell’epoca, senza compromessi, censure né omissioni. Un’ opera che si pone agli antipodi dei classici documentari “da cartolina”, lasciando pochissimo spazio agli scorci turistici (a parte il Duomo, Corso Vittorio Emanuele II e il Castello Sforzesco, mostrati peraltro di striscio, quasi distrattamente, non si vede pressoché nulla della Milano “bene”) per concentrarsi, invece, sulla Milano “popolare” fatta di volti di persone comuni, cui viene semplicemente chiesto di pronunciare il proprio nome. Naturale, quindi, date le scelte ideologiche del regista, che Milano ’83 sia riuscito, all’epoca, a unire i principali partiti politici al potere (PSI al comune, PCI alla provincia e DC alla regione) in un coro di comune sdegno e disapprovazione, in nome della “regola aurea” secondo cui “i panni sporchi si lavano in casa”, regola di cui a suo tempo -primi anni cinquanta- ha fatto le spese anche il capolavoro di Vittorio De Sica Umberto D, criticato dalla classe politica in quanto reo di dare all’estero un’immagine troppo deprimente dell’Italia.

E così, dopo la proiezione alla Mostra di Venezia, per volere delle istituzioni Milano ’83 è stato fatto rapidamente sparire dalla circolazione e condannato all’oblio, diventando, di fatto, un “invisibile”: troppo pessimista, scomodo, controproducente, non allineato. Per poter assistere a una “riabilitazione” dell’opera, Olmi ha dovuto aspettare quasi trent’anni: la prima proiezione pubblica milanese dopo il ritiro del film è avvenuta infatti nel marzo 2012. Mai pubblicato in DVD, Milano ’83 è attualmente reperibile su Youtube.

Francesco Vignaroli

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