Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Assicurazioni Generali. Dal 17 al 21 gennaio 2018
Il gabbiano, ovvero quanta strada ha fatto Cechov per arrivare a Yokohama? è uno spettacolo di vent’anni fa riproposto in occasione del cinquantenario dalla fondazione, da parte di Giancarlo Nanni, della Compagnia dell’Attore diretta ora da Manuela Kustermann, sua compagna nella vita e in scena. Artista dalla formazione poliedrica, con interessanti conoscenze lontane dallo specifico ambito teatrale, aveva realizzato questa regia dopo uno studio triennale nel quale gli attori che ne facevano parte allora erano stati coinvolti per condividerne in modo attivo il percorso, prima tappa di un lungo viaggio che, passando per l’Actors Studio sarebbe giunto fino all’Università di Tokyo. Gli stessi interpreti sono ora di nuovo in scena, riuniti per rendere omaggio alla sua memoria. Soltanto i ruoli dei giovani Nina e Kostia sono stati affidati ad altri.
Quella offerta al pubblico risponde appieno a tale caratteristica essendo una messinscena a più dimensioni, distillato di riflessioni portate avanti a lungo di fronte a platee di spettatori, di studenti e di allievi e, perciò ancora più meditate. Vi si riconoscono una commistione di arti e una molteplicità di linguaggi usati (non ultime alcune intersecazioni tra russo e italiano operate da Nina 1 e Nina 2), ma anche per lo svelamento dei tantissimi livelli interni al testo di Anton Cechov.
L’elemento simbolico tanto caro all’autore russo è qui altamente presente a sostegno di un susseguirsi di soliloqui dotati saltuariamente di una qualche tonalità dialogica cui si aggiunge un’ombra clownesca melanconica e struggente, onnipresente in una rappresentazione sospesa nel tempo e in un luogo definito soltanto dalle parole dei personaggi, inconoscibile per il resto allo spettatore, non essendoci nulla in scena se non oggetti e costumi teatrali.
C’è una pressione interna repressa che, quando si risolve, assume le sembianze di una violenza che però non porta niente, quasi fine a se stessa.
Sospeso su tutto e contemporaneamente nucleo strutturale dell’intero dramma ci sono il teatro, l’artista, l’interprete, il rapporto con il pubblico, la necessità di un costante rinnovamento opposto all’abitudine di mettere in scena sempre le stesse cose.
L’interpretazione di tutti, a partire dalla grandezza di Manuela Kustermann, è essenziale nel senso che tutti appaiono come portatori dell’essenza più profonda dei singoli personaggi, liberata da qualsiasi inutile orpello. Il loro essere scalzi ne è simbolo efficace.
Paola Pini