L’eterno Glauco Mauri non si rassegna al “Finale di partita”

Data:

Teatro Signorelli, Cortona. Martedì 16 gennaio 2018

“EPPURE SI CONTINUA…” (dallo spettacolo)

L’anziano Hamm (Glauco Mauri) è cieco e immobilizzato su una sedia a rotelle. Divide la sua casa e le sue pene esistenziali con il sempre più insofferente servitore Clov (Roberto Sturno) che, al contrario di Hamm, non è in grado di sedersi, e può solo stare in piedi. Ah: ci sarebbero anche Nagg e Nell (Mauro Mandolini ed Elisa Di Eusanio), i genitori di Hamm che, privi entrambi delle gambe, vivono rinchiusi in due contenitori della spazzatura, quasi totalmente ignorati dal figlio. All’interno dell’abitazione il tempo sembra sospeso: i giorni si trascinano stancamente, appesantiti da una monotonia che diventa tedio e Hamm, tra un battibecco e l’altro, sguinzaglia Clov alla ricerca di segni di vita dall’esterno mandandolo a scrutare l’orizzonte dalle due sole, piccole finestre sul mondo che la casa concede loro. Preso dai propri tormenti, chiuso in sé, Hamm quasi non si accorge neppure della morte della madre, avvenimento accolto con indifferenza e freddezza, se non con sollievo. Intanto, nonostante le chiamate, il mondo esterno sembra non rispondere e Hamm è sempre più annoiato e impaziente, mentre Clov medita di abbandonare la nave che affonda…

Samuel Beckett scrive l’atto unico Finale di partita nel 1956, con ancora in mente gli orrori e le macerie lasciate dalla seconda guerra mondiale. Il titolo fa riferimento all’espressione con cui, nella terminologia del gioco degli scacchi (di cui l’autore è grande appassionato), si indica la parte finale della partita, dove le pedine rimaste sulla scacchiera sono poche e quindi il re, ormai privo della protezione degli altri pezzi, è costretto a uscire allo scoperto e ad assumere un ruolo attivo nel gioco per difendersi e tentare di vincere. In questo caso potremmo considerare Hamm come il re perdente, e Clov come l’ultimo pedone rimasto -anche se svogliatamente- al suo servizio. Intorno a sé, ma anche al di fuori, dappertutto, c’è il vuoto, la rovina, ma Hamm sembra non voler, o non saper, prenderne atto. Il protagonista, quindi, si rifiuta di ammettere la sconfitta, ostinandosi a voler prolungare a oltranza una partita in realtà già decisa: il re è nudo, lo scacco matto è servito.

Finale di partita mostra tutta la drammaticità della condizione umana, che è sofferenza, solitudine, desolante mancanza di senso, impotenza di fronte alla realtà, limitatezza, finitezza, incapacità di comprensione. Vuota la casa (assenza di mobili, ma anche di sentimenti e calore umano), vuoto il mondo esterno: la guerra, o un’altra non meglio precisata catastrofe, ha azzerato tutto; la Natura è ammutolita, il mare immobile, l’uomo assente. L’abitazione di Hamm è come una bolla-trappola che sigilla gli abitanti imprigionandoli al suo interno, escludendoli così dallo spazio-tempo. Solo Clov, che è anche l’unico in grado di farlo, riesce alla fine a liberarsi dal “misterioso incantesimo” dell’abitazione, non senza fatica. A lui soltanto, quindi, è concesso uno spiraglio di futuro, mentre per gli altri rimangono solo i ricordi del passato (Nagg e Nell rievocano il fatale incidente in tandem che è costato loro le gambe, mentre Hamm ripensa a un conoscente pazzo, il quale credeva fermamente che la fine del mondo fosse già avvenuta), in attesa della morte. In una situazione che nulla ha di comprensibile, accettabile e sensato Becket sceglie l’irrazionale, frantumando il discorso in tanti spezzoni slegati tra loro e sovvertendo la logica (i genitori di Hamm sono più giovani del figlio, e più che anziani in gabbia sembrano bambini confinati in due box da neonati). In una tale realtà, “IL NON SIGNIFICAR NULLA DIVENTA L’UNICO SIGNIFICATO” (dal saggio Tentativo di capire “Finale di partita” di Theodor W. Adorno) e anche la tradizionale concezione umana di Tempo viene scossa alle fondamenta: conta più la quantità o la qualità del tempo che ci è dato da vivere?

Con Finale di partita Beckett propone un testo ostico, cupo, non lineare e pressoché privo di momenti di alleggerimento (anche se, dice Hamm, “NIENTE E’ PIU’ COMICO DELL’INFELICITA’”), scarno come l’allestimento scenico, duro come il diamante nel suo esistenzialismo disperato. Dalla pièce si esce provati, inquieti, rabbuiati. Eccellente Glauco Mauri che, incurante delle sue ottantotto primavere, offre una monumentale prova d’autore, con un’energia, una passione e un’espressività che il tempo non ha potuto scalfire: doti che lo confermano, se mai ce ne fosse ancora bisogno, come uno dei più grandi attori viventi del teatro italiano. Ottima l’intesa con Roberto Sturno, frutto di un sodalizio artistico ormai pluridecennale.

Francesco Vignaroli

Glauco Mauri
Roberto Sturno
di Samuel Beckett
con Elisa Di Eusanio, Mauro Mandolini
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche Giacomo Vezzani
regia Andrea Baracco
produzione Compagnia Mauri Sturno
foto di scena Manuela Giusto

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