Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Museo di guerra per la pace “Diego de Henriquez”. Dal 6 al 18 marzo 2018
Due spari; un valzer viennese suonato da un quartetto d’archi; quattro monologhi recitati in altrettante sale di un museo “di guerra per la pace” realizzato in un’ex caserma fra cannoni, carrozze, pezzi di artiglieria e tanta, tanta memoria.
Gli ambienti costituiscono una scenografia molto suggestiva, fonte di riflessioni che non si fermano a ciò cui si assiste e portano altrove per giungere fino ai giorni nostri; vi è esposta parte della sterminata collezione bellica di Diego de Henriquez, ora Civico Museo ed è arricchita da una vasta serie di pannelli esplicativi. Lo spettacolo in una sede di così forte impatto emotivo è frutto della collaborazione fra il Teatro Stabile regionale e il Comune di Trieste.
L’apprezzamento e il successo dell’iniziativa sono testimoniati dal numero di repliche che si susseguono, a partire dal primo allestimento del 2015, in momenti diversi dell’anno per soddisfare le richieste delle scuole o per offrire ulteriori spunti ai sempre più numerosi turisti.
Questa volta è il pubblico a muoversi, a passare da un racconto all’altro spostandosi anche fisicamente; il cambio di prospettiva domina A Sarajevo il 28 giugno, tratto dall’omonima opera in versi di Gilberto Forti e presentato nella sala principale del museo dalla voce di Paolo Rumiz che ne riassume le caratteristiche: un episodio della Storia, importante in sé, ma fondamentale perché divenuto tragico simbolo di quel che sarebbe avvenuto poco dopo, viene ricostruito attraverso le voci verosimili di immaginari personaggi di allora, testimoni per ragioni diverse e portatori di un personale punto di vista.
I ricordi di un medico bosniaco (Francesco Migliaccio), presente alla riesumazione del corpo del giovanissimo Gavrilo Princip, l’attentatore reo confesso condannato a morire di stenti nella sinistra prigione di Terezín si integrano con quelli di una donna del popolo (Ester Galazzi) che ricorda il percorso delle salme, da Sarajevo a Trieste e infine ad Artstetten passando per Vienna, reso ancor più triste e faticoso dalla rigidità di un protocollo sordo e cieco, incapace di accettare lo scandalo di un matrimonio morganatico da parte dell’erede al trono imperiale neppure di fronte alla morte; ad essi si aggiungono le parole di una nobile allora giovane (Maria Grazia Plos), che con Francesco Ferdinando aveva una volta danzato a Pressburgo nel corso di una festa data in onore dell’Arciduca, assieme a quelle di un ingegnere ungherese (Emanuele Fortunati) che ricostruisce con attenta precisione i momenti dell’attentato, infarcendo la Storia di tanti “se” e “ma”, convinto che soltanto in questo modo si possa da essa imparare qualcosa. A ciò si aggiungerà la voce di un’archivista (si alterneranno nel ruolo Federica De Benedittis e Lara Komar) che, attraverso le carte “riassumono più efficacemente la vita di Francesco Ferdinando d’Austria Este”, espressione di un’Impero, quello Asburgico, che da tempo era diventato l’ombra di se stesso.
Ne emerge un affresco ricco dal quale emergono le ragioni di tanti assieme alla personalità dei protagonisti, vittime e attentatore, ai mondi così diversi ai quali appartenevano, senza trascurare di far intravedere quasi in trasparenza la memoria di quel che avvenne dopo, alla fine della Grande Guerra. Il tempo successivo a quegli eventi incombe e si esprime con limpidezza attraverso l’espressività degli attori rendendo chiara la percezione di un’epoca andata in frantumi in modo catastrofico nell’inconsapevolezza di chi ne fu il protagonista o, quantomeno, in una grande, immensa, incapacità collettiva di agire per riuscire in qualche modo a porvi rimedio.
Paola Pini